L’urlo del ferroviere «Così i viaggiatori tradiscono il treno»

L’ex macchinista Mancinelli: Pescara fuori dall’Alta velocità smantellato il trasporto su ferro necessario alle imprese

PESCARA. «Fino al 1994 la stazione di Pescara centrale figurava ai primi dieci posti in Italia per l’emissione di biglietti per l’estero: ogni giorno qui era un crocevia di viaggiatori e c’erano fino a sette sportelli aperti. Oggi che siamo stati tagliati fuori dall’Alta velocità, se siamo fortunati ne troviamo aperti tre». Antonio Mancinelli, 67 anni, ex macchinista, capotreno e responsabile della vecchia stazione doganale cittadina, ha vissuto sulla propria pelle le trasformazioni che hanno investito e portato al collasso il trasporto ferroviario abruzzese. L’evoluzione da sistema d’elite a sistema di massa, così come amano ripetere dalla stanza dei bottoni delle Ferrovie dello Stato, secondo l’ex ferroviere che oggi assiste con la Fit Cisl i dipendenti prossimi alla pensione, rappresenta «un’involuzione che ha portato la gente comune a scegliere sistemi alternativi come l’aereo».

A pochi giorni dalla firma del nuovo contratto aziendale tra l’ad di Trenitalia Mauro Moretti e i sindacati, con il passaggio da 36 a 38 ore lavorative e il riconoscimento del salario di produttività, Mancinelli sfoglia il suo album dei ricordi e traccia la parabola di un mestiere antico costretto a fare i conti con il muro della modernità. «Più si va avanti», ammette a denti stretti, «più mi rendo conto che stiamo tornando alle condizioni lavorative degli anni Settanta. E non è una questione di ore di impiego. Che si debba lavorare di più e su tratte più ampie siamo tutti d’accordo. Ma oggi il personale di bordo è vittima dello stress e della disorganizzazione». Rispetto a quarant’anni fa la professione è cambiata radicalmente: nelle stazioni l’odore di ferro è quasi sparito, i biglietti non vengono più scritti a mano e il personale non si occupa dell’apertura e della chiusura di tutte le carrozze dei vagoni. Quell’universo fatto di viaggi lenti e freddi, scandito dalla fatica e dagli orari di rientro dei convogli da Foggia, Ancona e Avezzano e dalle soste notturne a Roma o a Bari, oggi è soltanto un lontano ricordo. «Chi è abituato alle 11 ore di impegno e alle 9 di lavoro effettivo», si schernisce il ferroviere, oggi in pensione e con una vita di ricordi da condividere con gli altri, «sorride di fronte ai problemi lamentati dalle nuove generazioni. Certo i ritmi erano differenti, specie per il personale viaggiante che oggi con le medie e le lunghe percorrenze va più lontano da casa e ha responsabilità maggiori. Eppure non si litigava costantemente con i passeggeri e la gente conservava il rispetto per il nostro lavoro».

Secondo Mancinelli, l’errore costato maggiormente a Pescara e all’Abruzzo, oggi fuori dai circuiti dell’Alta velocità e dai collegamenti con le maggiori città italiane, è stato l’aver abolito il trasporto su ferro a vantaggio di quello su gomma: «Da quando non partono più le commesse per Bologna, Roma, la Sicilia e la Sardegna», spiega il pensionato, «le fabbriche dell’hinterland pescarese sono state messe in ginocchio perché i viaggi a bordo dei camion costano il doppio. A quel tempo protestai vivamente perché stavano smantellando un sistema che funzionava. Non fui ascoltato e dopo aver tentato invano di fare qualcosa, alzai bandiera bianca e mi decisi a chiedere la pensione anticipata».

Ylenia Gifuni

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