La carica dei trecentomila
La più grande sfilata della storia dell’Aquila, una scommessa vinta per l’Abruzzo
L’AQUILA. «Scusa, nonno, ma quando tornano gli alpini?». Il piccolo Giulio di Carsoli ha appena finito di mangiare il gelato con il nasino e le guance tutti impiastricciati di cioccolato. Quando sciamano anche gli ultimi tricolori, manca mezz’ora alle 20, capisce subito che la musica è finita. E gli amici se ne vanno. Tra 24 ore lo realizzeranno anche gli aquilani. Pure quelli che magari hanno smoccolato davanti a quella transenna invalicabile. Erano trecentomila, sai, piccolo Giulio, forse pure di più. Li hai visti sfilare e piangere, darsi strette di mano così forti che te la stritolano. E abbracci prolungati, sai, come fanno i bambini come te. E tra qualche anno, quando rivedrai le foto della più grande sfilata della storia dell’Aquila, l’Adunata degli alpini numero 88, stenterai a credere che, sì, quel giorno di maggio che tutti dicevano di nuvole e pioggia si è trasformato, invece, in un tripudio di sole e di colori. E questo è successo sei anni dopo il terremoto, che tu, per fortuna, non sai neppure cos’è, tanto sei piccolo in quel passeggino che ora ti culla dopo che è finito pure l’ultimo botto dei tamburi del “Trentatré”.
300MILA E ANCHE DI PIÙ. Il megaraduno alpino che ha eletto L’Aquila a capitale delle penne nere, ma anche della solidarietà data e avuta, del gratuitamente ricevuto e gratuitamente dato, e di tante altre cose insieme, al netto della retorica, va in archivio come una delle pagine migliori della storia del capoluogo abruzzese. Festa non soltanto per L’Aquila, ma anche per l’Abruzzo intero, che sfila per ultimo, con i suoi alpini di ieri e di oggi, dentro a tante di quelle camicie a scacchi bianche e verdi che hai come l’impressione che, una volta arrivati alla Rotonda, siano tornati indietro in una sorta di gioco dell’oca all’infinito. Una sfilata lunga quasi 12 ore alla quale, purtroppo, due alpini, un piemontese e un emiliano, avrebbero voluto partecipare ma se ne sono andati proprio mentre tutti gli altri si preparavano a sfilare. Un lunghissimo serpentone tra le caserme Rossi e Pasquali fa saltare il pranzo domenicale a tantissimi aquilani che a sera, a piedi, se ne tornano a casa. Stanchi ma felici, proprio come nelle favole.
LA RESSA. Non è facile spostarsi da una parte all’altra o cercare di circumnavigare il percorso di viale della Croce Rossa, via Vicentini e viale Corrado IV. Gli alpini sono tanti, dentro e fuori le transenne, dove molti aspettano per ore per applaudire i nostri che passano per ultimi. Ogni gruppo una storia, ogni cappello ne potrebbe raccontare tante. Le pagine più belle della storia d’Italia e del Corpo vengono esaltate dagli speaker che a un certo punto, però, dovendo parlare, sebbene a turno, per undici ore circa, ci mettono dentro tutto, dai marò («Riportiamoli a casa, li vogliamo alla prossima sfilata»), ai black bloc («vorremmo tanti giovani per tre mesi a fare protezione civile con noi, poi vediamo chi li ferma i black bloc, noi ne abbiamo già eliminati tanti. Ma voi avete mai visto un alpino arrabbiato?»), dai politici che fanno solo chiacchiere («semplificate le cose per L’Aquila e torniamo a darvi una mano») e che dovrebbero rinunciare ai loro vitalizi fino alla reintroduzione della leva obbligatoria che solleva quasi la ola.
PROVA SUPERATA. A guardare il sindaco Massimo Cialente col vestito sgualcito e zuppo di sudore che saltella da un lato all’altro alla fine del corteo si capisce che la prova è superata. In pochi avrebbero creduto alla tenuta della viabilità del capoluogo, viste le limitazioni ancora imposte dai danni del terremoto. Quando il sole è quasi al tramonto, il colore della faccia del dipendente della Regione è un tutt’uno col gonfalone rosso fuoco. È all’ultimo tuffo del giorno che la delegazione di Asti (76mila abitanti e 3672 alpini) prende la stecca e si mette in moto la macchina per l’organizzazione del 2016. La tribuna si svuota, i pullman s’incolonnano per tornare dalla Sicilia alla Val d’Aosta. Il piccolo Giulio torna a Carsoli col ricordo di un bel gelato.
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