La Corte dei Conti proscioglie Gallerati e altri 13 ex politici
Caso chiuso per un vecchio mutuo dell’Ente Manifestazioni I giudici: «Gli amministratori agirono correttamente»
MONTESILVANO. Tirano un sospiro di sollievo l’ex sindaco Renzo Gallerati e 13 consiglieri in carica 14 anni fa che nei mesi scorsi erano stati citati in giudizio dalla procura della Corte dei Conti per un presunto danno erariale da circa 70mila euro. I giudici della sezione dell’Aquila della Corte dei Conti hanno respinto la domanda e prosciolto tutti gli ex amministratori coinvolti. «Anche in questo caso abbiamo agito in maniera lecita», commenta Gallerati.
A finire sotto la lente di ingrandimento era stato un mutuo di 200mila euro contratto nel 2003 dall’allora Ente Manifestazioni di Montesilvano con la Banca Popolare di Lanciano e Sulmona, nell’ambito del quale il Comune, previa approvazione di una delibera in consiglio comunale, aveva assunto il ruolo di garante. Secondo l’accusa, però, quelle risorse sarebbero state impiegate per risanare i debiti dell’Ente che già all’epoca dei fatti versava in una drammatica situazione finanziaria. Per la procura della Corte dei Conti, il Comune non avrebbe dovuto dare il proprio via libera all’accensione del mutuo che, inevitabilmente, avrebbe visto prima o poi le rate ricadere sui cittadini.
Per questa ragione a rispondere erano stati chiamati Gallerati e i 13 consiglieri che votarono la delibera, oltre a un funzionario amministrativo, Eliana Ferretti, che diede parere tecnico favorevole. La delibera prevedeva che il mutuo fosse utilizzato per il completamento del progetto di ristrutturazione dell’ex mercato coperto, oggi Palazzo Baldoni. Per il presunto danno erariale, oltre a Gallerati e Ferretti, erano stati citati per 4.500 euro ciascuno: Giovanni Pavone, Giuliano Agostinone, Stefano Di Blasio, Emidio Di Felice, Ferdinando Di Giacomo, Pietro Gabriele, Pasquale Gentile, Evenio Girosante, Tommaso Franco Iacovelli, Vladimiro Lotorio, Gaetano Mambella, Luigi Marchegiani, Giuseppe Mené. A dirsi tranquillo, alla vigilia dell’udienza dell’11 luglio all’Aquila, era stato l’ex primo cittadino, assistito dall’avvocato Ugo Di Silvestre che ha seguito la causa insieme ad altri legali, tra cui Leo Brocchi (ex assessore). «Se ci fossero stati i profili di illegittimità evidenziati dagli inquirenti», aveva commentato Gallerati, «il parere del funzionario non sarebbe stato favorevole, così come l’istituto di credito avrebbe senz’altro negato l’erogazione del mutuo. Dopotutto i soldi sono stati spesi per la sala polifunzionale Di Giacomo che ancora oggi è lì e che per giunta da qualche tempo è diventata anche una fonte di introito per il Comune, dal momento che è previsto un canone di affitto per il suo utilizzo». Lo stesso Gallerati che oggi si dice soddisfatto della sentenza: «Non è stato facile recuperare i documenti dal momento che sono trascorsi ormai 14 anni e che molte carte dell’epoca non ci sono più», sottolinea. «Proprio per questo abbiamo prodotto una relazione analitica, anche fotografica, con tutti i costi per spiegare l’utilizzo delle somme. Fortunatamente i giudici ci hanno dato ragione. Del resto, il consiglio comunale non ha la competenza di verificare come vengono spesi i soldi, ma semplicemente di decidere come devono essere impiegati. Cosa che abbiamo fatto in maniera del tutto lecita, approvando quella delibera». Anche per via dell’assenza di tutti i documenti, la Corte dei Conti ha respinto la domanda condannando al pagamento delle spese legali (circa 5-6000 euro) lo stesso Comune.
A finire sotto la lente di ingrandimento era stato un mutuo di 200mila euro contratto nel 2003 dall’allora Ente Manifestazioni di Montesilvano con la Banca Popolare di Lanciano e Sulmona, nell’ambito del quale il Comune, previa approvazione di una delibera in consiglio comunale, aveva assunto il ruolo di garante. Secondo l’accusa, però, quelle risorse sarebbero state impiegate per risanare i debiti dell’Ente che già all’epoca dei fatti versava in una drammatica situazione finanziaria. Per la procura della Corte dei Conti, il Comune non avrebbe dovuto dare il proprio via libera all’accensione del mutuo che, inevitabilmente, avrebbe visto prima o poi le rate ricadere sui cittadini.
Per questa ragione a rispondere erano stati chiamati Gallerati e i 13 consiglieri che votarono la delibera, oltre a un funzionario amministrativo, Eliana Ferretti, che diede parere tecnico favorevole. La delibera prevedeva che il mutuo fosse utilizzato per il completamento del progetto di ristrutturazione dell’ex mercato coperto, oggi Palazzo Baldoni. Per il presunto danno erariale, oltre a Gallerati e Ferretti, erano stati citati per 4.500 euro ciascuno: Giovanni Pavone, Giuliano Agostinone, Stefano Di Blasio, Emidio Di Felice, Ferdinando Di Giacomo, Pietro Gabriele, Pasquale Gentile, Evenio Girosante, Tommaso Franco Iacovelli, Vladimiro Lotorio, Gaetano Mambella, Luigi Marchegiani, Giuseppe Mené. A dirsi tranquillo, alla vigilia dell’udienza dell’11 luglio all’Aquila, era stato l’ex primo cittadino, assistito dall’avvocato Ugo Di Silvestre che ha seguito la causa insieme ad altri legali, tra cui Leo Brocchi (ex assessore). «Se ci fossero stati i profili di illegittimità evidenziati dagli inquirenti», aveva commentato Gallerati, «il parere del funzionario non sarebbe stato favorevole, così come l’istituto di credito avrebbe senz’altro negato l’erogazione del mutuo. Dopotutto i soldi sono stati spesi per la sala polifunzionale Di Giacomo che ancora oggi è lì e che per giunta da qualche tempo è diventata anche una fonte di introito per il Comune, dal momento che è previsto un canone di affitto per il suo utilizzo». Lo stesso Gallerati che oggi si dice soddisfatto della sentenza: «Non è stato facile recuperare i documenti dal momento che sono trascorsi ormai 14 anni e che molte carte dell’epoca non ci sono più», sottolinea. «Proprio per questo abbiamo prodotto una relazione analitica, anche fotografica, con tutti i costi per spiegare l’utilizzo delle somme. Fortunatamente i giudici ci hanno dato ragione. Del resto, il consiglio comunale non ha la competenza di verificare come vengono spesi i soldi, ma semplicemente di decidere come devono essere impiegati. Cosa che abbiamo fatto in maniera del tutto lecita, approvando quella delibera». Anche per via dell’assenza di tutti i documenti, la Corte dei Conti ha respinto la domanda condannando al pagamento delle spese legali (circa 5-6000 euro) lo stesso Comune.