La crisi a Pescara, Barbuscia Auto manda 32 persone a casa
Dopo la recente scomparsa di Graziano, la concessionaria Opel assorbita dall’azienda del fratello. Salvi 16 dipendenti
PESCARA. Stanno continuando a lavorare, ma sanno bene che hanno i giorni contati: le lettere di licenziamento stanno per arrivare dopo che martedì scorso è stato raggiunto l’accordo tra azienda e sindacati nella sede di Confindustria.
Sono 32 i dipendenti della Barbuscia Auto srl, la concessionaria del marchio Opel del compianto Graziano Barbuscia, in via Tiburtina, che entro il 31 dicembre dovranno lasciare il posto di lavoro, chi in mobilità, chi in disoccupazione. Dipendenti storici dell’altrettanto storica concessionaria di auto che, insieme all’azienda, pagano il prezzo della crisi laddove il mercato dell’auto rappresenta, più di ogni altro, la cartina di tornasole del baratro in cui sono finite le famiglie italiane.
Un finale amaro ma ineluttabile, concordano sindacati e proprietà che perlomeno, nell’ultimo definitivo incontro di martedì con l’azienda rappresentata oggi dal fratello di Graziano, Piero Barbuscia (che ha annesso il marchio Opel a quelli di Mercedes, Subaru e Smart della sua Barbuscia spa), sono riusciti a salvare 16 posti dei 49 complessivi in forza alla Opel (uno in pensione dal primo novembre).
Dunque, dieci dipendenti rimarranno nel settore officine (meccanici e responsabili area), e sei nel commercio, tra venditori e magazzinieri. Sono queste le figure su cui l’azienda, che ha accettato di mantenere due unità in più rispetto alle 14 previste, si è riservata la cernita mirata dei nominativi, in base alle esigenze tecnico-amministrative e in funzione della continuità aziendale che va comunque garantita anche ora che il marchio Opel sarà gestito insieme a Mercedes, Subaru e Smart del padiglione a fianco, lungo la Tiburtina.
«Siamo abbastanza soddisfatti», sottolinea Gianna De Amicis, segretaria territoriale Ugl che insieme alla Cgil e agli altri sindacati ha partecipato alla trattativa, «a Piero Barbuscia va riconosciuto il merito di aver salvato il salvabile a fronte di una situazione di crisi del settore già in atto e che, nel caso specifico, è stata accelerata dalla morte improvvisa del titolare. Ma alla famiglia Barbuscia va dato atto che, assorbendo l’azienda di Graziano, hanno salvato comunque 16 posti di lavoro».
Per gli altri 32 incombono mobilità e disoccupazione, visto che, pur rientrando tutti nel contratto collettivo da metalmeccanico, sono divisi tra i settori Industria e Terziario. Nel caso specifico, solo l’industria (i meccanici e quelli che si occupano delle riparazioni), prevede la mobilità e i relativi ammortizzatori per un massimo di quattro anni (a seconda degli anni di anzianità), mentre il terziario (addetti al commercio e alla vendita di veicoli e ricambi) potranno usufruire solo della disoccupazione per un periodo che va dagli 8 ai dieci mesi, anche in questo caso a seconda dell’anzianità.
«Si tratta di dipendenti storici», racconta Massimiliano Scorrano, rappresentante sindacale aziendale Ugl, «che lavoravano in azienda da dieci, vent’anni. Padri di famiglia come me, che ho 46 anni e che non sono stato riconfermato, ma che con grande dispiacere non posso che considerare questa situazione come inevitabile».
«Una scelta che prima o poi andava fatta», ribadisce, «e lo dice uno che ha visto i conti dell’azienda, con il fatturato crollato, dal 2009-2010 a oggi, del 60 per cento. Non per demerito, ma per una serie di scelte della politica nazionale che, complice la crisi iniziata nel 2008, ha ridotto la capacità di acquisto delle famiglie, aumentando invece tutto quello che c’era da aumentare e senza che, di contro, ci sia stato un aiuto per quanto riguarda gli incentivi statali, praticamente spariti da quando la Fiat è andata via dall’Italia. Non dimentichiamoci che anche con il signor Graziano una ventina di persone erano andate in cassa integrazione progressivamente, dal 2012. Con l’aggravante, per una decina di colleghi del settore commercio, che con la cassa integrazione in deroga finanziata dalla Regione non prendono soldi dallo scorso dicembre».
E infine, sempre Scorrano: «Di questi tempi ci sono aziende che chiudono in maniera pretestuosa, con finalità speculative. Quello che è certo, invece, è che nel nostro caso l’azienda ha realmente finito tutti gli spazi di manovra utili per rimanere in vita. Era un qualcosa di inevitabile, non si poteva fare diversamente, e anche sui nomi di chi resta è logico che debba deciderli chi ha in mente l’organizzazione del nuovo assetto. Intanto, in attesa delle lettere che stanno per arrivare a casa, noi continuiamo a lavorare con la professionalità e l’attaccamento al marchio che ci sono sempre stati».
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