La sorella: «Se è stato lui, ha deluso la nostra famiglia»
PESCARA. «Il giorno dell’omicidio ho chiesto a mio fratello: “Mica c’entri qualcosa con questa storia?”. Lui mi ha risposto così: “Guarda che sono appena tornato dal mare”. Stava con la bicicletta e...
PESCARA. «Il giorno dell’omicidio ho chiesto a mio fratello: “Mica c’entri qualcosa con questa storia?”. Lui mi ha risposto così: “Guarda che sono appena tornato dal mare”. Stava con la bicicletta e con l’asciugamano. Quando gli ho detto di non scappare e di andare in questura, mi ha fatto: “Su andiamo”. Se è stato lui, però, sarebbe una delusione troppo grande: se una lezione di 15 anni di carcere non gli è bastata, ne arriverà un’altra». Eva Ciarelli è la sorella di Angelo e Massimo Ciarelli, i 2 fratelli rom finiti in carcere per gli ultimi 2 omicidi commessi a Pescara, il delitto di Tomasso Cagnetta, ucciso lunedì scorso al Ferro di cavallo di via Tavo, e quello dell’ultrà Domenico Rigante, assassinato la notte del Primo maggio scorso in via Polacchi. «Mercoledì incontrerò Angelo in carcere», dice la sorella, «e gli chiederò un’altra volta: “Ma sei stato tu?”. Vedremo». Nel colloquio con il Centro, Eva Ciarelli racconta: «Angelo non ci sta più con la testa, non lo dico io ma i certificati medici. Dopo 15 anni passati in carcere per l’omicidio del maresciallo dei carabinieri Marino Di Resta, non è facile tornare alla vita. Lui non ha più neanche un rapporto con i suoi figli: quando è stato arrestato», dice, «ha lasciato a casa una bambina di 5 anni e l’altro figlio è nato un mese dopo. Quando è uscito, anche a noi ha risposto male tante volte: ci siamo detti di lasciarlo perdere perché uscire dal carcere è brutto. Io dopo 6 anni passati dentro, ho vissuto la stessa cosa. Così, gli ho detto di uscire, di non restare chiuso in casa. Ultimamente, però», afferma la sorella, «l’ho visto silenzioso e chiuso. Si alzava presto per andare al mare e a pranzo non tornava a casa: rientrava la sera perché diceva che non ci sopportava». Eva rivela: «Ho visto mio fratello che faceva uso di cocaina: l’ho visto dal buco della serratura con della sostanza bianca. Poi beveva, tanto: Campari e gin anche a colazione. Mercoledì gli farò la stessa domanda: “Ma sei stato tu?”. Se è stato lui, sarà una delusione per tutti. Non si abbandona nessuno in carcere, ma se non gli sono serviti da lezione 15 anni dentro, non so più che dire».
Il racconto di Eva mette in discussioni le indagini della polizia: «Mio fratello non spacciava, viveva alla giornata con i soldi di una casa in via Monte Bertone venduta. Quando la polizia lo cercava, mi sono detta ma lui non c’entra niente con lo spaccio del Ferro di cavallo: lui non ha difeso quella ragazza e lei non spaccia per lui, lo so per certo. Se mio fratello poteva andare in giro con una pistola? Ho pensato che aveva paura degli ultrà ma c’è qualcosa che non torna». ©RIPRODUZIONE RISERVATA