Lavoro fisso, imprese e sindacati scettici sul piano Tremonti
PESCARA. I 60mila e rotti precari abruzzesi ringraziano. L’elogio del posto fisso fatto dal superministro dell’Economia Giulio Tremonti, rilanciato da Berlusconi («È un valore») e subito raccolto sulle nostre pagine dal senatore Franco Marini («Bene così, ma adesso dica cosa vuole fare»), apre un capitolo nuovo nel dibattito politico nazionale. Ma dalle parti delle imprese e del sindacato domina un forte scetticismo, anche perché l’Italia, e l’Abruzzo in particolare col suo tessuto diffuso di piccole e medie imprese, comincia a entrare nella fase più dura della crisi, quella in cui le aziende, pur vedendo l’uscita del tunnel, cominciano a ristrutturarsi perché ancora sovradimensionate rispetto ai fatturati registrati prima del crollo. Questo vuol dire altra cassintegrazione dove è ancora possibile (proprio ieri la Micron di Avezzano ha annunciato quattro settimane) e altri licenziamenti.
E così parlare di posto fisso a qualcuno sembra fuori tempo e fuori luogo.
Per Paolo Primavera, presidente dell’Ance della provincia di Chieti, l’associazione dei costruttori, il discorso di Tremonti dovrebbe andare più a beneficio delle amministrazioni pubbliche che delle imprese private: «Negli ultimi anni», spiega Primavera, «sono stati gli enti pubblici ad abusare della precarietà, e principalmente le societa miste pubblico-private, le famose spa pubbliche, quelle che fanno concorrenza alle imprese private con i soldi di tutti».
Quanto al privato, aggiunge il presidente dell’Ance, «è raro che le imprese, quelle che investono realmente sul capitale umano, alimentino il precariato: che senso avrebbe formare personale per poi disfarsene?»
Per il direttore regionale di Confindustria Giuseppe D’Amico la flessibilità, la necessità di essere pronti al cambiamento è ormai una strada senza alternativa, «ma questo non vuol dire che ogni due mesi bisogna cambiare lavoro, la flessibilità non deve essere precariato».
Nel sistema ideale ipotizzato da D’Amico la flessibilità non dovrebbe mai accompagnarsi alla perdita del posto di lavoro o all’assenza di protezione sociale. In mancanza di questo, «le Regioni, e in particolare la regione Abruzzo, possono svolgere un ruolo importante, costruendo un sistema di formazione che accompagni i processi di mutamento strutturale o di diversificazione delle imprese, per dare modo ai lavoratori di ricollocarsi nella stessa o in altre aziende. Confindustria sta cercando di attrezzarsi anche in proprio ma certo dovrebbe esserci anche il supporto pubblico».
Assolutamente contrario al principio del posto fisso è Luciano Mari Fiamma il presidente aquilano dell’Api, l’Associazione della piccola industria: «Noi non siamo per il posto fisso ma per la meritocrazia», taglia corto Mari Fiamma. «Certo, il posto fisso dà serenità, ma stimola anche le persone in negativo: si può accettare il posto fisso nella misura in cui si riesce a misurare la redditività del dipendente e avere gli strumenti per allontarnarlo in caso di esito negativo».
Per il segretario regionale della Uil Roberto Campo il dibattito è surreale «anche perché», dice, «il governo stesso sta lavorando in tutt’altra direzione». «Il sistema economico e sociale ormai non sta più offrendo posti fissi nella quantità in cui avveniva negli anni ’50 o ’60», spiega Campo, «altri paesi europei si sono attrezzati e hanno ammortizzatori universali e un sistema di formazione che proteggono i lavoratori sul fronte del reddito e del lavoro. L’Italia è l’ultimo grande paese che non ha questo tipo di protezione. E neanche sembra interessato ad averlo: un esempio? Gli ultimi governi Prodi e Berlusconi hanno scelto come priorità di dirottare risorse sull’Ici piuttosto che sulla riforma degli ammortizzatori: il primo ha dimezzato l’Ici, il secondo l’ha azzerata. E Tremonti fa le sue dichiarazioni, ma evita di attrezzarsi».
E così parlare di posto fisso a qualcuno sembra fuori tempo e fuori luogo.
Per Paolo Primavera, presidente dell’Ance della provincia di Chieti, l’associazione dei costruttori, il discorso di Tremonti dovrebbe andare più a beneficio delle amministrazioni pubbliche che delle imprese private: «Negli ultimi anni», spiega Primavera, «sono stati gli enti pubblici ad abusare della precarietà, e principalmente le societa miste pubblico-private, le famose spa pubbliche, quelle che fanno concorrenza alle imprese private con i soldi di tutti».
Quanto al privato, aggiunge il presidente dell’Ance, «è raro che le imprese, quelle che investono realmente sul capitale umano, alimentino il precariato: che senso avrebbe formare personale per poi disfarsene?»
Per il direttore regionale di Confindustria Giuseppe D’Amico la flessibilità, la necessità di essere pronti al cambiamento è ormai una strada senza alternativa, «ma questo non vuol dire che ogni due mesi bisogna cambiare lavoro, la flessibilità non deve essere precariato».
Nel sistema ideale ipotizzato da D’Amico la flessibilità non dovrebbe mai accompagnarsi alla perdita del posto di lavoro o all’assenza di protezione sociale. In mancanza di questo, «le Regioni, e in particolare la regione Abruzzo, possono svolgere un ruolo importante, costruendo un sistema di formazione che accompagni i processi di mutamento strutturale o di diversificazione delle imprese, per dare modo ai lavoratori di ricollocarsi nella stessa o in altre aziende. Confindustria sta cercando di attrezzarsi anche in proprio ma certo dovrebbe esserci anche il supporto pubblico».
Assolutamente contrario al principio del posto fisso è Luciano Mari Fiamma il presidente aquilano dell’Api, l’Associazione della piccola industria: «Noi non siamo per il posto fisso ma per la meritocrazia», taglia corto Mari Fiamma. «Certo, il posto fisso dà serenità, ma stimola anche le persone in negativo: si può accettare il posto fisso nella misura in cui si riesce a misurare la redditività del dipendente e avere gli strumenti per allontarnarlo in caso di esito negativo».
Per il segretario regionale della Uil Roberto Campo il dibattito è surreale «anche perché», dice, «il governo stesso sta lavorando in tutt’altra direzione». «Il sistema economico e sociale ormai non sta più offrendo posti fissi nella quantità in cui avveniva negli anni ’50 o ’60», spiega Campo, «altri paesi europei si sono attrezzati e hanno ammortizzatori universali e un sistema di formazione che proteggono i lavoratori sul fronte del reddito e del lavoro. L’Italia è l’ultimo grande paese che non ha questo tipo di protezione. E neanche sembra interessato ad averlo: un esempio? Gli ultimi governi Prodi e Berlusconi hanno scelto come priorità di dirottare risorse sull’Ici piuttosto che sulla riforma degli ammortizzatori: il primo ha dimezzato l’Ici, il secondo l’ha azzerata. E Tremonti fa le sue dichiarazioni, ma evita di attrezzarsi».