«Lavoro, il valore dell’unità»

Franco Marini ricorda il suo mezzo secolo di lotte: il sindacato oggi è ancora necessario

«Quando entrai nel sindacato, nel 1958, dopo la scuola della Cisl, il primo incarico lo ebbi ad Avezzano». Franco Marini è una memoria vivente del sindacato e del mondo del lavoro in Italia. Abruzzese di San Pio delle Camere, 84 anni compiuti il 9 aprile scorso, Marini è stato segretario nazionale della Cisl, più volte parlamentare, ministro e presidente del Senato dal 2006 al 2008. Ma è al sindacato che è legata più strettamente la sua storia che affida al Centro, oggi, nel giorno più simbolico del mondo del lavoro, il Primo maggio.
Formazione cattolica. «Sia noi che venivamo da una formazione cattolica che quelli che avevano seguito la dinamica del socialismo democratico, avevamo un’idea quasi religiosa della forza simbolica del Primo maggio», racconta Marini. «Accanto alle iniziative forti del socialismo, che era sbocciato in Europa, c’era stata anche questa grande enciclica, la Rerum Novarum, del 1891 di questo papa nobile, Leone XIII che era di Carpineto Romano, che ebbe una grandissima forza e diede la spinta per l’avvio di una legislazione sociale nel nostro Paese, per la prima volta dopo l’Unità d’Italia nel 1861. Quindi, marciammo insieme nel sindacato, soprattutto i più giovani fra noi, quando c’era un’iniziativa a carattere unitario per un obiettivo forte. Anche se poi noi costruimmo la Cisl dopo il 1950. Fu la difesa del lavoro che ci aveva fatti crescere in quel modo».
«Il Primo maggio, in fondo, è stato un salto della Storia. Se pensiamo alla Londra dei libri di Dickens, ci rendiamo conto che c’era stata una rivoluzione industriale nei Paesi più forti che, in Italia, arrivò più lentamente, nelle regioni dove l’industrializzazione nasceva; la Lombardia, il Piemonte, la Liguria. Lì si verificò, anche da noi, un salto nella Storia e nello sviluppo. Il quadro che in queste aree si era determinato era assolutamente inconciliabile con un minimo di attenzione sociale. Erano tempi difficilissimi per il lavoro di donne e fanciulli, con uno sfruttamento molto più forte di altri che abbiamo conosciuto. Il Primo maggio fu una risposta forte come scelta dell’unità del mondo del lavoro. Partì un’azione di riequilibrio che, piano piano, conquistò posizioni spingendo lo Stato a tenere d’occhio queste grandi masse senza difesa fino ad allora. A me ha sempre colpito il fatto che il primo Paese dove si parlò della giornata di lavoro di otto ore fu l’Australia nel 1855. Lì non era esplosa ancora la rivoluzione industriale. In America, dove lo sviluppo industriale era molto forte, il Primo maggio del 1886 a Chicago, ci fu una grande manifestazione dei lavoratori dell’industria. Era un sabato, un giorno lavorativo, e dopo 4 o 5 giorni di manifestazioni ci fu una repressione forte con 8 lavoratori rimasti per terra, morti. Da quel momento si allargò all’Europa la lotta per l’obiettivo del socialismo democratico, ma sempre accompagnato da questa parte cattolica che sentiva le mille contraddizioni della società».
Dopo la Resistenza. «Dopo la Resistenza, rinacque il sindacato unitario anche in Italia. C’era stata la morte di Bruno Buozzi qui a Roma, ucciso dalle SS. In quegli stessi giorni, Pastore, che avrebbe poi fondato la Cisl, fu arrestato e portato a Regina Coeli. Poi, nel 1948, ci fu la rottura politica, la divisione del mondo in due campi; si ruppe il governo di unità nazionale e, in seguito a questa rottura, rinacque, nel 1950, anche un’organizzazione sindacale di ispirazione cattolica, la Cisl. Io entrai nella Cisl come figlio di un operaio cattolico della Snia Viscosa di Rieti. Mi trovai automaticamente, dopo il liceo, a entrare nella Cisl, lavorando nell’ufficio vertenze, mentre ero iscritto all’università. Nel 1958 entrai nella scuola della Cisl a Firenze. Era una scuola di formazione che guardava con attenzione ai sindacati anglosassoni. Come primo incarico, mi trovai segretario della Cisl ad Avezzano con le lotte forti nel Fucino, la battaglia dei lavoratori dipendenti dall’Ente Fucino, che erano più di 1.500. Lavorai insieme con la Cgil. Facemmo uno sciopero unitario insieme con altri sindacati. E siccome ero giovane mi fecero parlare al cinema Valentino di Avezzano davanti a una platea molto ampia di lavoratori agricoli, di braccianti. La battaglia era quella per far passare un’astensione dal lavoro mensile, senza che i lavoratori che avevano contratti a tempo determinato fossero mandati a casa e non più riassunti. Macera, della Cgil, mi vide giovane. Disse: “Parla Marini”. E io parlai in quella mattinata di fuoco. Il giorno dopo, alla Camera, Ingrao si presentò alla buvette con l’Unità in mano e mostrò a Pastore la prima pagina dove c’era un titolo che diceva “Sciopero unitario”. In quegli anni era un po’ una bestemmia. Dopo qualche giorno, arrivò un telegramma del segretario organizzativo della Cisl, Macario, che mi convocava a Roma. Quando ad Avezzano presi il treno per Roma dissi a un collega: adesso mi licenziano. A Roma, Macario mi fece una lavata di testa. Ma, malgrado questo, mi chiamò all’ufficio organizzativo confederale. Finii a fare il reggente della Cisl di Agrigento dove facemmo uno sciopero delle raccoglitrici di mandorle. Mi ricordo che, nei giorni precedenti, giravo a piedi con il megafono per annunciare la manifestazione dietro a un 500 che aveva l’altoparlante collegato. Poi andai a fare il segretario a Biella. Lì conobbi il sindacato industriale. La sera, girando per quelle vallate, scoprii che la Cisl era molto forte fra i lavoratori del tessile; trovavo sedi piene di ragazze, che guardavano al sindacato come a una famiglia, una garanzia del loro lavoro perché il sindacato era forte».
Il sindacato oggi. «Fare il sindacato, oggi, è difficile con questa frammentazione del lavoro. Il lavoratore si sente spesso solo in questo processo in cui lo sviluppo è sacrosanto, certo. Ma il Paese ha bisogno di questa forza intermedia che è il sindacato che abbia la capacità di proporre soluzioni per i problemi. Non bastano più lo sciopero e la protesta. Oggi ci vogliono soluzioni che passino anche attraverso il sindacato. Per esempio, questo referendum fatto dai dipendenti dell’Alitalia non mi ha convinto: la speranza di un intervento pubblico è improponibile. Oggi in Europa quasi tutti gli Stati sono di fronte a una caduta dell’ideale socialdemocratico e cristiano della redistribuzione della ricchezza. Il lavoro ha bisogno di una ripresa forte dell’iniziativa sindacale e di un sindacato unitario. Oggi le condizioni per l’unità ci sono e l’unità può essere una necessità per rilanciare una iniziativa che servirebbe alla democrazia e al Paese».
©RIPRODUZIONE RISERVATA