LE MACERIE DI 20 ANNI SCIAGURATI
Il tempo è scaduto. E ancor più scadenti sono i tempi odierni. Un piede fuori dal Senato e l’altro azzoppato dentro il governo degli ambiziosi delfini. Esce di scena senza abbandonarla davvero, Silvio Berlusconi. Il Grande Decaduto. Una battaglia all’ultimo minuto e, ancor più, all’ultimo voto quando la decisione finale si trasferirà dalla giunta delle autorizzazioni al plenum di Palazzo Madama. Combatte disperato come un giapponese nella foresta senza rassegnarsi alla realtà che avanza: la guerra – la sua personale guerra – è finita e perduta. Aveva promesso una fantasmagorica rivoluzione liberale. Vent’anni fa. Si è rivelato il campione della stagnazione illiberale. Ha ipnotizzato milioni di elettori, ha fustigato i “traditori”, ci ha lasciato un’Italia sfibrata e incattivita. Insofferente alle regole e ancor più alla legalità. Corrotta nella destra come nella sinistra. Eredità avvelenata di un innegabile carisma speso solo per gli affari suoi e della sua corte.
Nel giorno dedicato a Francesco d’Assisi Patrono d’Italia, si avvia dunque a conclusione la parabola del ricco imbonitore della tv commerciale trasformatosi nel padre-padrone di un partito inventato di sana pianta con cui ha conquistato una nazione intera. Ci vorranno anni per capire fino in fondo che cosa è stato il berlusconismo: non solo fenomeno politico, ma un complesso intreccio sociale, economico, culturale di cui quel che resta della sinistra non ha mai compreso fino in fondo la portata. Fino a perdere le elezioni di febbraio quando sembravano già vinte.
Scontata, in verità, la decadenza deliberata ieri a maggioranza dalla giunta per le autorizzazioni. I rapporti di forza al suo interno erano ben noti. Entro venti giorni il “processo” si trasferisce nell’aula del Senato. Ma – al di là delle cavillose interpretazioni sull’applicabilità o meno della legge Severino – resta un problema profondo, strutturale: che paese è quel paese che per un ventennio si è affidato a un capo la cui cifra dominante è stata l’esagerazione dei comportamenti abbinata all’inconcludenza dell’azione di governo? E al tempo stesso che paese è quel paese che in tutti questi lunghi incresciosi anni – durante i quali a partire dal 1994 si sono svolte ben sette elezioni politiche nazionali - non ha saputo creare una solida alternativa politica all’uomo solo al comando? Dalla ormai triste “gioiosa macchina da guerra” di occhettiana memoria al mucchio selvaggio di Mastella e Bertinotti nell’Ulivo prodiano, al giaguaro smacchiato solo dalla fantasia bersaniana…
La decadenza di Silvio coincide con la decadenza di un’epoca. C’è poco da esultare. Suscita dunque tristezza il commento volgarotto affidato a Facebook dal senatore 5 stelle Vito Crimi (o dal suo portaborse che si è assunto la responsabilità dello stupidario), perché se l’alternativa prende le forme dell’infantilismo estremista, siamo proprio ben conciati. Promettevano di aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno; si sono ridotti a difendere l’impresentabile Porcellum in attesa di un governo tutto pentastellato che nascerà quando – dicono - prenderanno la maggioranza del 51 per cento. Conservatori di complemento.
Così colui che fu il Grande Comunicatore – che ancora mercoledì mattina con una stupefacente piroetta annunciava il voto di fiducia al governo Letta-Alfano con aria grave, ma sotto sotto gli scappava da ridere pure a lui – colui che sulla demagogia ha costruito un sistema di potere, viene ora sbeffeggiato dalla demagogia propagandata a buon mercato attraverso i social network.
Dalle prime tv a colori al boom degli smartphone e tablet l’Italia è cambiata ma non è cresciuta. Se Berlusconi decade, restano 60 milioni di italiani da risollevare. A chi l’impresa?
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