rigopiano, l'inchiesta

Le ultime ore di paura: i familiari in procura

Gli investigatori pronti a interrogare 30 parenti delle vittime

PESCARA. A tre mesi dalla valanga che ha distrutto l’hotel Rigopiano spezzando la vita di 29 persone, gli investigatori che indagano per disastro colposo e omicidio colposo plurimo sanno già cosa è successo quel maledetto 18 gennaio. Sanno che, quel mercoledì, clienti e dipendenti dell’albergo di Farindola si sono svegliati da condannati a morte; sanno che, dopo un giorno di abbandono e senza una turbina disponibile lungo la strada provinciale Farindola-Rigopiano, nessuno avrebbe potuto salvare quelle persone intrappolate nell’hotel; sanno che le omissioni dei giorni precedenti, dalla turbina rotta da due settimane e mai sostituita fino a quella strada scomparsa sotto più di due metri di neve, sono state fatali. Ma ora gli inquirenti vogliono sapere di più e conoscere ogni momento precedente alla valanga. E per saperlo, da questa settimana in poi, chiameranno a testimoniare i parenti delle vittime. Saranno loro a ricostruire i momenti mancanti. Attraverso il ricordo di telefonate e messaggini.

Gli investigatori chiameranno a testimoniare una trentina di persone. Da una parte ci sono i familiari che pretendono la verità e vogliono contribuire a fare luce sul disastro; dall’altra ci sono gli inquirenti che vogliono blindare una tesi che sembra già indiscutibile. Finora, le forze dell’ordine impegnate nell’indagine – carabinieri forestali, carabinieri del nucleo investigativo e squadra mobile – hanno scoperto che in tanti quel giorno avrebbero voluto lasciare l’albergo, che erano già pronti in fila nelle auto ma che non hanno potuto farlo perché si sono trovati davanti un muro di neve che nessuno ha rimosso. Hanno aspettato uno spazzaneve che non è arrivato. Vanno a caccia di conferme gli investigatori: dalle pagine Facebook delle vittime e dai loro telefonini trovati sotto le macerie hanno visto gli allarmi lanciati dopo le prime scosse di terremoto della mattina. Ora, chiederanno altri dettagli ai parenti: se ci sono altre comunicazioni, se ci sono foto e filmati spediti dall’hotel. Per gli investigatori, le testimonianze servono ad avvalorare la ricostruzione: clienti e dipendenti del Rigopiano sono morti perché nessuno li ha liberati.

È un passo importante per l’inchiesta in mano al procuratore capo Cristina Tedeschini e al pm Andrea Papalia perché sembra prefigurare il quadro delle responsabilità: messa così, la responsabilità più grave potrebbe essere quella della Provincia di Pescara, cioè l’ente che avrebbe dovuto tenere sgombra dalla neve la strada tra Farindola e Rigopiano. Se la strada fosse stata praticabile, osservano gli inquirenti, ospiti e personale avrebbero avuto il tempo di lasciare la struttura e, dopo le 5 scosse di terremoto che a Farindola si sono sentite forti, in tanti avrebbero voluto farlo: grazie alla rete wi-fi dell’albergo, tanti hanno comunicato con familiari e amici, hanno affidato a loro paura e ansia di quei momenti. E quelle comunicazioni saranno importanti per l’indagine: avrebbe voluto scappare e non hanno potuto.

I familiari potrebbero essere ascoltati nel giro di un paio di settimane. E, in procura, saranno due settimane importanti: le forze dell’ordine hanno già depositato una prima versione dei rapporti sulla valanga e la procura potrebbe contestare a breve i primi addebiti. Anche perché la Tedeschini lascerà la guida dell’indagine tra un mese, quando si trasferirà alla procura di Pesaro in qualità di dirigente, e gli avvisi di garanzia potrebbero partire prima.

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