L’intervista ad Alba Parietti: “L’hater di Chieti mi ha spaventata a morte”
La conduttrice: «Sono comprensiva, ma non mi faccio intimidire e reagirò sempre»
Per una che si chiama Alba come la prima città piemontese liberata nel 1945 dall’oppressione nazifascista combattere una battaglia è pane quotidiano. Il padre Francesco, partigiano di Asti conosciuto come Naviga, è stato, ed è ancora oggi che non c’è più, l’esempio della sua vita. E quando decide di combattere una battaglia di civiltà – con l’Abruzzo sullo sfondo – Alba Parietti lo fa a viso aperto, come è nel suo stile. Da sua madre Grazia, pittrice scomparsa quattordici anni fa, Alba ha ereditato quella vena artistica che le consente di disegnare con chiarezza i confini entro cui limitare, nel caso specifico, l’impatto dei social sulle persone.
La storia è tutta teatina, con un hater che ha insultato ripetutamente la conduttrice e opinionista televisiva, tanto da essere da lei denunciato. Di qui la perquisizione con sequestro del cellulare e lo status di indagato per l’“odiatore”.
Ma partiamo dall’inizio. Alba Parietti, hanno indagato l'hater che l'ha attaccata sui social. Giustizia è fatta, o comunque in itinere?
«Una risposta così sollecita potrebbe diventare un caso di specie e aiutare a prevenire e curare le situazioni pesanti, come lo stalking, il bullismo».
Ci faccia capire meglio.
«Le persone normali, come purtroppo vediamo dalle cronache, vengono sottoposte a questo tipo di tortura psicologica. Io ho denunciato perché ho intravisto la pericolosità di una persona con un aspetto inquietante e strafottente tale da essere convinto di potersi permettere frasi di gravità estrema. Gliene leggo una: “Il macellaio ti aspetta, grandissima troia”, o “Sparati grandissima troia con il tumore” e tanto altro. Ogni volta che rispondevo, anche dicendo che avrei denunciato, rincarava la dose».
A questo punto Alba Parietti tira su un sospiro e tiene a precisare che in tutta questa vicenda è sostenuta «dalla bravissima avvocatessa Anna Zottoli». Poi con stupore misto a rassegnazione ci ricorda un particolare che lascia davvero l’amaro in bocca.
«Uno dei post così offensivi e volgari è stato scritto sotto un pensiero che ho rivolto a un ragazzo di cui piangevo la morte. Ma l’hater, senza un briciolo di comprensione, con cattiveria ha rilanciato: “Vai a cagare tu e quell'ometto che hai messo al mondo”.
In base alla tesi difensiva l’indagato non ha disconosciuto la paternità della diffamazione, giustificandola con una diversità di vedute rispetto alle sue idee politiche.
«Io non sono una attivista che si schiera, io sono un'anarchica. La sua è una difesa arbitraria, è semplicemente una persona che pensa di terrorizzare una donna. Sono insulti sessisti, violenze, minacce. Alba Parietti si ferma a riflettere. E poi, se anche fosse?»
Ha avuto paura?
«Come non averne? Lui scrive e dichiara di vivere vicino a casa mia, dice di abitare a poca distanza da dove abito io. Era abbastanza preoccupante. Ma ora questa vicenda crea un precedente. Un po’ mi tranquillizza , ma la preoccupazione non manca».
Si riferisce ai purtroppo frequenti casi di femminicidi?
«Perché non dovrei preoccuparmi? Pensiamo alla sua follia nell'attribuirmi posizioni politiche. Io ho sempre espresso il mio pensiero con libertà, non ho mai insultato nessuno, tantomeno le persone che non la pensano come me».
La ritiene una giustificazione?
«Assolutamente no. Il suo avvocato attribuisce alla stupidità, alla leggerezza e all’espressione di un pensiero differente la posizione del suo cliente, ma sono sicura che non è vero».
Perché è così sicura?
«Le faccio un esempio: sono perseguitata da tre anni da una signora che mi ha scatenato contro un gruppetto di suoi amici e amiche che hanno costruito una sorta di combriccola di bulli. Postano delle mie foto e poi iniziano a insultarmi. Commentano da tre anni in modo volgare e violento ogni mio comportamento. Vivono di riflesso la mia vita, da un lato quasi cercando di essere me e dall'altra odiandomi profondamente. I post pubblicati sono inquietanti».
È riuscita a identificarli?
Certo che sì. Si tratta di una donna che ambisce ad accreditarsi come acculturata scrittrice e di un'altra, la più accanita, che è una signora paciosa e qualunque».
Perché ce l’hanno tanto con lei?
«Non lo so, ma pensi che la seconda, di mestiere, ha un'agenzia che opera nell'infanzia. Non le ho denunciate solo perché mi fanno pena e compassione. Se la dovessi querelare e se rendessi pubbliche le cose che ha scritto, questa donna dovrebbe chiudere bottega».
Le sono capitati altri casi simili?
«Mi è capitata anche con una avvocatessa che mi diceva “Con quelle labbra vada a fare i p...”", pensi che bravo avvocato. Poi, quando ha visto la mia denuncia, mi ha scritto una lettera per sottolineare i problemi incontrati durante la sua difficile infanzia».
Non male questo voltafaccia da hater a piccola fiammiferaia.
«Guardi, io ricordo le parole di mio padre e le applico. Sono una persona comprensiva, però se sparo non sparo alle gambe, ma alla testa».
Chiaro.
«C’è una cosa che vorrei fosse importante capire. L'esempio che gli adulti danno ai figli è decisivo. È quello che poi porta i ragazzini a comportamenti di bullismo che rovinano la loro adolescenza e qualche volta portano al suicidio tanti ragazzi che vengono bullizzati».
Lo spirito di emulazione, insomma?,
«Sì, bullizzano perché noi adulti, invece di insegnare educazione ed etica, nei casi citati a 60 e a 40 anni insultiamo con frasi sessiste un'altra donna».
La sento particolarmente battagliera.
«D'ora in avanti tolleranza zero e questa cosa è anche rischiosa. Potrei avere a che fare con un pazzo e denunciare un pazzo è sempre pericoloso. Mettetevi nei panni di chi subisce un attacco hater. Le frasi sui social terrorizzano, sono minacce, mettono la persona nelle condizioni di avere paura».
Nel caso dell’hater abruzzese ha avuto una particolare preoccupazione?
«Provate a guardare il profilo di questo signore. È terrorizzante e per questo ho denunciato. Il resto è una massa di imbecilli e di donne profondamente stupide che hanno poco rispetto prima di tutto della loro dignità e poi della mia. Potrei rispondere con la pubblicazione delle frasi sul mio profilo e rovinarle per sempre. Dall'altra parte c'è una povera disgraziata. Le faccio qualche altro esempio. Uno di questi post diceva: “Sei una zecca cavallina”, subito seguita da un signore – chiamiamolo così – che scrive “magari inginocchiandosi davanti al direttore di turno accende i neuroni”».
Lei è un personaggio pubblico molto diretto e ha spesso ha a che fare con leoni da tastiera che la insultano. Non è l'unico bersaglio, pensa che debbano essere posti dei limiti all'attività sui social?
«Ovvio che sì. Intanto tutti i profili devono far riferimento a persone fisiche, identificabili attraverso la carta d'identità. Basta con questi profili finti in cui scrivere cose gravissime. Sono fake e per quanto tu possa bannarle rimangono sui social».
Perché non vengono eliminate dai filtri di sicurezza?
«Bella domanda. Guardi, se io pubblico una foto con le tette di fuori mi chiudono il profilo, gli insulti invece rimangono lì. Controllano il capezzolo e non altro. Ci vuole la punibilità immediata con multe immediate. Ogni parola usata impropriamente va controllata».
Può essere una soluzione praticabile?
«Lo Stato ha bisogno di soldi e non fa sconti a chi dimentica di pagare una multa per divieto di sosta. Perché non recuperare, invece, una bella fetta di quei soldi dai social?»
Dal punto di vista della repressione potrebbe funzionare, ma lei pensa che basti?
«No, serve anche altro. Partiamo dai ragazzini che sono sempre con i telefonini in mano. A scuola dovrebbero vietarne l’uso, ma gli adulti devono essere i primi a insegnare l'educazione civica. Se un ragazzino fa bullismo sul telefono il padre e la madre devono saperlo subito, intervenire e non giustificare».
Questa sua denuncia e lo sviluppo investigativo e giudiziario che ne è seguito pensa possano essere uno spartiacque importante?
«Spero che quello che è successo a me, e cioè di trovare un ascolto al di sopra delle mie aspettative, possa ripetersi. Non mi aspettavo una azione così determinata da parte dello Stato. Così deve accadere e la Procura di Chieti con l’ausilio della squadra mobile della polizia è il segnale che si deve intervenire prima che si arrivi a una tragedia perché sono sicura che questo sia un deterrente forte. Se uno è pericoloso lo metti all'angolo».
Lei ha sempre rappresentato nell'immaginario collettivo la donna dei sogni degli italiani, e non solo. Ma rispetto al cliché classico, è riuscita a rappresentare allo stesso modo l'ideale della donna intelligente e determinata. Questo le ha provocato più considerazione o l'ha limitata in qualche modo nella sua carriera?
«Entrambe le cose. Tutto ha un prezzo. Io ho sempre fatto semplicemente quello che la mia coscienza mi ha detto di fare».
La sua posizione politica in genere le crea problemi?
«Parlerei della mia visione ideologica, più che politica. Io sono di sinistra, ma dico anche che nella sua applicazione non saprei dove trova riscontro oggi».
E qui torna il pensiero a suo padre Francesco e ad altri momenti storici, ben più complicati di quello attuale.
«Chi ha avuto il coraggio di non indossare una divisa da balilla e ha cercato di affermare un pensiero diverso dalla dittatura, va rispettato. Qualsiasi dittatura, fascista o comunista va combattuta. C’è chi dice “Se non ci fossero stati gli americani l’Italia non sarebbe rinata”, ma qualcuno non ha capito che quando il fascismo era pensiero unico, c'era chi si opponeva molto prima della guerra partigiana, quelle erano persone coraggiose».
La Resistenza di oggi è legata a dei simboli, vero?
«Sì, ho visto un'immagine bellissima di una giornalista che mette le mani addosso a un militare, o alla ragazza che si mette davanti al carrarmato. Ogni gesto di coraggio ti dà coraggio. Per questo il fatto di denunciare e la conseguenza che ci sia stata un'azione così importante da parte di una Procura crea un precedente decisivo per tutti».
Insomma, attenzione al linguaggio da usare da parte dei leoni di tastiera.
«Sì, bisogna cambiare il linguaggio. Io sono contro il politicamente corretto applicato ovunque, si può utilizzare anche un gergo non politicamente corretto, ma dare un significato non offensivo alle parole. Anche grazie al tono usato. Ma quando c'è violenza, volontà di mortificazione e umiliazione c'è un reato e il linguaggio, quindi, deve cambiare».
Che rapporto ha con l'Abruzzo?
«Vacanze estive da bambina, i miei genitori mi portavano in varie località sulla vostra bellissima costa. Poi, ci ho lavorato tanto tra serate e teatro».
Cosa le è rimasto impresso della nostra regione?
«Non la conosco abbastanza, ma da oggi mi rimane impressa per la sua serietà».
Lei è riuscita a evitare di essere coinvolta nella vicenda legata a Terrazza Sentimento, l’appartamento in cui veniva usata la droga dello stupro per violentare delle donne.
«Un giorno ho conosciuto il gruppo e non sono rimasta entusiasta, quel tipo di deriva mi ha sempre fatto scappare. È rimasta coinvolta una ragazza cui voglio molto bene. È un argomento spinoso e delicato, Non ho mai condiviso quella frequentazione, ma allo stesso tempo non mi piace ergermi a giudice. È troppo facile quando non si conosce bene la cosa. Bisognerebbe entrare in racconti troppo personali e dolorosi. Preferisco dare consigli prima, quando posso evitare che qualcosa accada, non mi piace fare la moralista dopo».
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