London Bridge: il terzo killer a Londra era italo-marocchino
Fu fermato nel 2016 a Bologna. La madre, convertita all’Islam, vive lì Il giallo della segnalazione degli 007 italiani e le sottovalutazioni inglesi. E a Parigi aggressione a Notre Dame
LONDRA. C'è anche un filo che porta in Italia dietro l'attacco terroristico che sabato scorso ha seminato morte e paura a Londra, all'ombra delle elezioni britanniche. Ed è un filo rosso: quello del sangue «italiano» di Youssef Zaghba, 22 anni, individuato come il terzo uomo del commando di terroristi-killer di London Bridge e Borough Market. Mancava solo lui all'appello, dopo l'identificazione di Khuram Shazad Butt, 27enne britannico di radici pachistane sfuggito incredibilmente ai radar di poliziotti e 007 di Sua Maestà a dispetto di indagini e di anni di frequentazioni con estremisti vari; e quella di Rachid Redouane, 30 anni, di dichiarate origini marocchine e libiche. Scotland Yard attendeva l'ultima verifica proprio sull'asse Gran Bretagna-Italia, finché oggi anche il suo nome non è diventato di pubblico dominio. Zaghba, viso imberbe da ragazzo nella prima foto-documento disponibile, era nato in Marocco, a Fez, figlio di padre marocchino e madre bolognese convertita all'Islam.
E il suo passaporto era italiano, anche se nella penisola risulta esserci stato poco: di passaggio eppure non senza incappare nel 2016 in un breve fermo di polizia a Bologna, causa un viaggio «sospetto» verso la Turchia. Ne era rimasta traccia in una segnalazione italiana al circuito internazionale d'intelligence. Caduta forse nel vuoto, come altre. Che Youssef si fosse rintanato da tempo a Londra, sembra del resto pacifico. Così come è chiaro che avesse finito per imbarcarsi in una congrega di aspiranti jihadisti ritrovatasi a Barking: fra i caseggiati periferici al margine più degradato di East London. Un ambiente nel quale da un trio apparentemente raccogliticcio sarebbe emersa alla fine una vera cellula: «benedetta» dall'Isis e destinata a entrare in azione per abbattere passanti alla cieca, investendoli con un pulmino a noleggio e accoltellandoli nel pieno della movida serale.
Le indagini continuano. Nel van sono state scovate delle molotov, si è saputo. Mentre un presunto fiancheggiatore 27enne è stato arrestato nell'ennesimo raid a Barking e altri 10 sono stati invece scarcerati. Dei tre killer, l'uomo chiave rimane Butt. È lui la figura indicata ora dagli investigatori come il capobanda. Ed è sempre lui quello che un paio d'anni fa non si era nascosto neppure alla tv, con tanto di bandiera nera del Califfato sventolata in mezzo a Regent's Park. Un caso esemplare di sottovalutazione da parte delle forze di sicurezza del Regno, secondo la denuncia unanime dei media, che costringe la stessa premier Theresa May - nell'imminenza di un voto non più così scontato per i Tory - ad ammettere che qualcosa è andato storto. E che bisognerà indagare sulle possibili falle di polizia e degli agenti segreti dell'Mi5. Nella storia di Butt, le occasioni perse sembrano in effetti la regola. Ha un bel dire Bona Mapiand, vicino di casa nel mega-ghetto di Barking, nel provare a descriverlo come un giovane papà, magari un pò fissato con la religione, ma che «giocava con i bambini, tifava l'Arsenal e parlava con me di calcio». In realtà il suo radicalismo risale come minimo al 2013. Il Times e il Telegraph rivelano ad esempio contatti stretti e tutt'altro che nascosti con il 41enne Sajeel Shahid, sospetto addestratore in Pakistan per conto di Al Qaida di quel manipolo di terroristi che il 7 luglio 2005 mise a segno la più cruenta sequenza di attentati suicidi, tra metro e bus, che Londra abbia mai visto: un personaggio che lo avrebbe iniziato alla scuola di Anjem Choudary, «predicatore d'odio» attualmente in carcere nel Regno dopo essere stato condannato per propaganda pro-Isis e che fra i suoi adepti risulta aver avuto pure Redouane, nonché - prima di loro - Khalid Masood, l'attentatore 40enne di Westminster.-