Luca Cavallito e le due pistole: comprò le armi per mille euro
L’ex calciatore sopravvissuto all’agguato le acquistò illegalmente nel 2019 da un colombiano Ora anche quell’episodio finisce nell’inchiesta sul delitto dell’architetto Albi con tre indagati
PESCARA. Nell’agosto del 2019, Luca Cavallito, il 49enne sopravvissuto alla sparatoria del bar del Parco del 1° agosto scorso in cui perse la vita il suo amico, l’architetto Walter Albi di 66 anni, comprò illegalmente due pistole. Un episodio che proprio questa mattina doveva essere valutato dal gup del tribunale di Pescara, Antonella Di Carlo, che però da qualche giorno ha lasciato la sua sede per andare a ricoprire il ruolo di giudice penale alla Corte d’Appello di Ancona. E dunque, il suo ruolo di oggi sarà rinviato in blocco e con esso anche il procedimento che vede coinvolto Cavallito insieme a un colombiano, cioè l’uomo che gli vendette, per mille euro, quelle due pistole. Si tratta di una Colt calibro 38 special ed una Smith & Wesson dello stesso calibro. Cosa ne doveva fare di due pistole Cavallito? Le pistole, stando a quanto accertato dall’inchiesta istruita dal pm Gabriella De Lucia, erano di proprietà della madre del colombiano che le deteneva regolarmente nella sua casa di Lanciano. L’uomo le sottrasse alla madre e le portò a Pescara dove Cavallito le acquistò.
Certo è che l’ex calciatore, miracolosamente sopravvissuto alla furia del killer che quella sera esplose prima due colpi dall’esterno del bar, facendo cadere a terra Albi e Cavallito, poi entrò nel giardino dell’esercizio per completare l’opera sparando di nuovo su entrambi i malcapitati che giacevano a terra, uccidendo l’architetto e riducendo in fin di vita Cavallito, i suoi problemi con la giustizia li aveva avuti e li ha tuttora. Le sue frequentazioni con alcuni soggetti della malavita locale sono state passate al setaccio dagli uomini della squadra mobile del dirigente Gianluca Di Frischia che conduce le indagini su delega del procuratore aggiunto, Annarita Mantini, e del sostituto Andrea Di Giovanni. C’è un altro precedente, che risale al 2013, che vide coinvolto Cavallito: un procedimento penale per droga in cui l’ex calciatore originario di Viareggio era rimasto coinvolto insieme a due soggetti di Cerignola. Tutti e tre erano accusati di detenzione di droga che era nascosta tra i pannelli di plastica e le portiere anteriori di una Citroen: circa 18 chili di sostanza stupefacente di tipo hashish confezionata in venti involucri. Un procedimento che si concluse con un patteggiamento a 3 anni di reclusione. Poi un altro inciampo giudiziario nel 2020 quando il solo Cavallito era accusato di detenzione di droga: in casa, nel suo garage, aveva 70 grammi di hashish, un po’ di marjuana e poco meno di un grammo di cocaina. Per quell’episodio, nell’aprile dello scorso anno, Cavallito riuscì ad ottenere la messa in prova per 11 mesi (scaduta nell’aprile scorso) in una struttura culturale locale. E dunque anche questi aspetti della vita di Cavallito vengono valutati dagli inquirenti che per quell’agguato lungo la strada parco hanno individuato tre sospettati, accusati di omicidio e di tentato omicidio: Cosimo Nobile (detto Mimmo), Renato Mancini e Fabio Iervese, gli stessi tre soggetti coinvolti nella rapina al Centro Agroalimentare di Cepagatti avvenuta due settimane prima dell’uccisione di Albi. Il loro dna, già acquisito dagli inquirenti, dovrà essere comparato con le tracce rilevate dalla scientifica su alcuni oggetti trovati nella stessa zona di strada vicinale del Pantano dove venne ritrovata la moto usata dal killer: un casco, un cellulare, un caricatore con 5 colpi calibro 9.21 e il castello di una semiautomatica dello stesso calibro, che la procura ritiene essere l'arma usata per il delitto e portata via alla guardia giurata durante la rapina all'agroalimentare. E tutto questo mentre si scava ancora sul movente e sul possibile mandante che potrebbe anche non essere locale visti i diversi rapporti che Cavallito intratteneva con esponenti diversi della malavita locale e anche pugliese.
Al momento di parla di un affare da 400mila euro legato alla realizzazione di un progetto per la costruzione di casette sul mare davanti al porto turistico di Pescara, ma non si esclude neppure che a far scattare la vendetta sia stato un debito contratto da Cavallito (si parlò all'inizio della vicenda di un debito di 70/90 mila euro). Con chi e per cosa non è ancora chiaro anche se lo stesso ex calciatore potrebbe aver fornito agli inquirenti indicazioni precise al riguardo che poi hanno portato ad iscrivere nel registro degli indagati Nobile, Mancini e Iervese.
Certo è che l’ex calciatore, miracolosamente sopravvissuto alla furia del killer che quella sera esplose prima due colpi dall’esterno del bar, facendo cadere a terra Albi e Cavallito, poi entrò nel giardino dell’esercizio per completare l’opera sparando di nuovo su entrambi i malcapitati che giacevano a terra, uccidendo l’architetto e riducendo in fin di vita Cavallito, i suoi problemi con la giustizia li aveva avuti e li ha tuttora. Le sue frequentazioni con alcuni soggetti della malavita locale sono state passate al setaccio dagli uomini della squadra mobile del dirigente Gianluca Di Frischia che conduce le indagini su delega del procuratore aggiunto, Annarita Mantini, e del sostituto Andrea Di Giovanni. C’è un altro precedente, che risale al 2013, che vide coinvolto Cavallito: un procedimento penale per droga in cui l’ex calciatore originario di Viareggio era rimasto coinvolto insieme a due soggetti di Cerignola. Tutti e tre erano accusati di detenzione di droga che era nascosta tra i pannelli di plastica e le portiere anteriori di una Citroen: circa 18 chili di sostanza stupefacente di tipo hashish confezionata in venti involucri. Un procedimento che si concluse con un patteggiamento a 3 anni di reclusione. Poi un altro inciampo giudiziario nel 2020 quando il solo Cavallito era accusato di detenzione di droga: in casa, nel suo garage, aveva 70 grammi di hashish, un po’ di marjuana e poco meno di un grammo di cocaina. Per quell’episodio, nell’aprile dello scorso anno, Cavallito riuscì ad ottenere la messa in prova per 11 mesi (scaduta nell’aprile scorso) in una struttura culturale locale. E dunque anche questi aspetti della vita di Cavallito vengono valutati dagli inquirenti che per quell’agguato lungo la strada parco hanno individuato tre sospettati, accusati di omicidio e di tentato omicidio: Cosimo Nobile (detto Mimmo), Renato Mancini e Fabio Iervese, gli stessi tre soggetti coinvolti nella rapina al Centro Agroalimentare di Cepagatti avvenuta due settimane prima dell’uccisione di Albi. Il loro dna, già acquisito dagli inquirenti, dovrà essere comparato con le tracce rilevate dalla scientifica su alcuni oggetti trovati nella stessa zona di strada vicinale del Pantano dove venne ritrovata la moto usata dal killer: un casco, un cellulare, un caricatore con 5 colpi calibro 9.21 e il castello di una semiautomatica dello stesso calibro, che la procura ritiene essere l'arma usata per il delitto e portata via alla guardia giurata durante la rapina all'agroalimentare. E tutto questo mentre si scava ancora sul movente e sul possibile mandante che potrebbe anche non essere locale visti i diversi rapporti che Cavallito intratteneva con esponenti diversi della malavita locale e anche pugliese.
Al momento di parla di un affare da 400mila euro legato alla realizzazione di un progetto per la costruzione di casette sul mare davanti al porto turistico di Pescara, ma non si esclude neppure che a far scattare la vendetta sia stato un debito contratto da Cavallito (si parlò all'inizio della vicenda di un debito di 70/90 mila euro). Con chi e per cosa non è ancora chiaro anche se lo stesso ex calciatore potrebbe aver fornito agli inquirenti indicazioni precise al riguardo che poi hanno portato ad iscrivere nel registro degli indagati Nobile, Mancini e Iervese.