«Ma quali tangenti, c'è solo porchetta»

La difesa dei Ferretti nelle intercettazioni inedite: «Il grasso sono i costruttori»

MONTESILVANO. Ma quali tangenti, semmai, «ci sta qualche porchetta che abbiamo dovuto pagare per la festa patronale. Questo ci sta, qualche contributo stupido. Forse, qualche soldo di questi non è stato dato a fattura ma uno non può andare in galera per mille, duemila euro. Questo ci sta, il grasso sta da un'altra parte: i palazzinari». È il 29 settembre 2006 quando Gianni Ferretti, il figlio dell'imprenditore Duilio, commenta con un amico di nome Mario l'indagine in corso a Montesilvano: «Sono venuti da noi e hanno requisito dei documenti. Gli stessi poi li hanno presi al Comune, punto», così dice il figlio di Ferretti che ammette di non essere preoccupato anche se un mese e mezzo dopo sarà arrestato con il padre. Chi deve avere paura, afferma mentre viene intercettato in auto, sono «i palazzinari»: quelli che «in cinque anni» si sono arricchiti e «vanno in giro con certe macchine, minimo cinquemila di cilindrata».

Il giorno dopo il sequestro disposto dal tribunale di Pescara per una cifra di 64.500 euro di proprietà dell'imprenditore Ferretti, considerato il corrispettivo delle tangenti pagate all'ex sindaco Enzo Cantagallo e all'ex assessore alle Finanze Paolo Di Blasio per ottenere gli appalti delle fogne di via Adige e via Marche, sono le conversazioni inedite, intercettazioni telefoniche e ambientali, a disegnare la cornice dell'inchiesta Ciclone. Secondo la sentenza del tribunale, che dopo due ricorsi del pm Gennaro Varone alla Corte di cassazione ha autorizzato il sequestro dei soldi, la contabilità delle tangenti risulta da «quattro tabelle» compilate a mano dall'imprenditore Ferretti: in colonna, le somme versate a Cantagallo e Di Blasio. Uno stipendio di 2.500 euro al mese per ottenere lavori a trattativa diretta anziché con la gara d'appalto: 32.500 a Cantagallo, altri 32 mila a Di Blasio.

In una intercettazione del 14 settembre, ore 19,22, Ferretti parla con il figlio Gianni: per l'accusa, l'argomento sono le tangenti. «I documenti li hai presi?», chiede Gianni. L'imprenditore: «Sì, li ho presi». Dialogo da corruttori? La parola «documenti», per la procura, significa tangenti; per la difesa dei Ferretti, invece, dire «documenti» non può significare altro che atti. Il colloquio prosegue: «Stasera ci vai ad acchiappare?», domanda il figlio. «Domani», risponde il padre, «ma a te no, tu non sai niente, non devi sapere niente della contabilità e con Paolo...»: secondo la procura, è questo il passaggio centrale. Nel colloquio, il figlio di Ferretti dice anche: «No, aspettami quella lista di soldi, Di Cola non c'è», afferma riferendosi al tecnico comunale Alfonso Di Cola, anche lui tra i 32 rinviati a giudizio. Ferretti ribatte: «Però ha fatto una fattura». La discussione tra padre e figlio avviene nel giorno in cui i Ferretti hanno subito una perquisizione della polizia in casa e ufficio - «Sì, si sono presi tutto: un sacco di carte, contratti»: «Se non c'era quella scheda era fatta», continua il figlio parlando con il padre, «certo è rimasto spiazzato quello», riferendosi a un poliziotto, «ha chiesto ma lei ha pagato? Questo che cos'è? C'è rimasto male, mò provare che erano carte è il problema».

Mettendo insieme le parole dei Ferretti, il tribunale sostiene che «nella conversazione Ferretti ammette che le somme riportate sulle schede sono riferibili alle tangenti versate a Cantagallo e a Di Blasio». «Ma le tabelle sono schede contabili con sigle e non nomi», assicura la difesa di Ferretti, «non esiste una sola intercettazione telefonica tra Ferretti e Cantagallo, non c'è traccia di pagamenti corruttivi o incontri privati. Anzi, Cantagallo ha ostacolato numerose volte l'affidamento dei lavori previsti dalla concessione; di questo vi è prova in numerose intercettazioni. I versamenti all'associazione Arcobaleno e a Di Blasio, da sempre consulente dei Ferretti, sono giustificati da ricevute e fatture per prestazioni professionali».

Nelle conversazioni dei Ferretti non ci sono riferimenti espliciti a tangenti: in un dialogo, il figlio dice che è pronto a «prendere a schiaffi chi gli chiede una lira o vuole farsi pagare un caffè».

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