L'INTERVISTA
«Mia figlia Veronica avrà giustizia»
La madre racconta gli ultimi giorni della donna della 32enne morta dopo il ricovero: l’hanno trattata come una tossicodipendente
PESCARA. «L’ho promesso a mia figlia. Le darò giustizia, fosse l’ultima cosa che faccio nella mia vita. E lo farò raccontando quello che è accaduto, perché chi ha sbagliato deve pagare. Altre mamme e altri genitori non devono vivere questo dispiacere». Monica Rapagnetta, 66 anni, di Montesilvano, infermiera in pensione che per 42 anni ha lavorato nel reparto di Terapia intensiva neonatale, pretende «giustizia» per la figlia Veronica Costantini, morta venerdì in ospedale, lasciando due bimbe, il marito Lorenzo Grilli, il genitori Alvaro e Monica e il fratello Fernando.
Il suo cuore si è fermato per sempre dopo una settimana difficilissima, cominciata lunedì scorso con un malore a casa. «Era in uno stato di confusione e assenza mentale, osservava in continuazione le pareti, non riusciva a rispondere alle domande della madre, aveva lo sguardo fisso e gli occhi sbarrati, non stava in piedi», ha scritto in un dettagliatissimo esposto alla procura il difensore della famiglia, l’avvocato Anthony Hernest Aliano. È stato allora che è avvenuto il primo trasporto in ospedale, seguito dopo molte ore dalle dimissioni. Mercoledì un altro accesso al pronto soccorso e il ricovero, prima in Malattie infettive e poi in Neuropsichiatria. Ma la situazione della 32enne di Montesilvano non è mai migliorata, anzi peggiorava di giorno in giorno sotto gli occhi della madre.
«Non deve accadere più che qualcuno perda una figlia per una banalità che si poteva affrontare in breve tempo con una terapia», dice Rapagnetta basandosi sulla propria esperienza professionale anche se sarà l’autopsia a chiarire come sono andate le cose e a fare luce su eventuali responsabilità».
Chi era Veronica e come stava fino a qualche giorno fa?
«Veronica era una donna bellissima, molto seria, intelligente. Una grande mamma e una grande moglie, interessata alla vita e in particolare a tutto ciò che riguardava la sua famiglia e le sue bimbe, di 9 e 3 anni, Benedetta e Cecilia. Molto caparbia, e se decideva di raggiungere un obiettivo per i suoi affetti non mollava. Ha sempre avuto una vita regolare, a livello neurologico stava benissimo. Da piccola ha sofferto di epilessia ma è scomparsa con la crescita. Era un caterpillar».
Ha sofferto in questi giorni, secondo lei?
«Avvertiva una sofferenza ma non poteva esprimerla. Aveva una espressione dolente, per la testa. Avrebbero solo dovuto osservarla con il trascorrere dei giorni, studiarla. Questo mi hanno insegnato: a valutare i casi attraverso l’osservazione, per poi riferire ai medici. Non posso dire io cosa avesse. Ma la situazione è andata via via peggiorando e io l’ho accompagnata nel peggioramento guardandola da madre e da infermiera pediatrica. Ho ripetuto le mie riflessioni a tutti, segnalando una sofferenza a livello meningeo, cerebrale, viste le condizioni in cui era, l’irritabilità, la masticazione. La febbre non si abbassava nonostante le medicine, faceva delle smorfie di dolore per il male che aveva alla testa. Ma nessuno mi ha creduto e sono stata perfino derisa. L’hanno trattata come se fosse una paziente psichiatrica o una tossicodipendente. E pensare che fino ad allora non sapevo neppure dove fosse quel reparto».
Essendo un’infermiera non ha avuto fiducia nei suoi colleghi, nei medici?
«No, per come hanno trattato il caso no. Hanno sbagliato dal primo giorno, secondo me. Mi sono confrontata anche con il medico di famiglia, che mi ha invitato a riportarla in ospedale, dopo le prime dimissioni».
Chi ha visto dopo la morte di sua figlia tra medici ed infermieri?
«Nessuno, siamo solo dei numeri».
Avete presentato un esposto in procura e dice che la sua battaglia andrà avanti.
«Spero che mi si creda, perché ci metto la faccia. Chiedo che si indaghi per accertare delle mancanze che io reputo gravissime da parte dei medici che si mascherano dietro situazioni incomprensibili per i cittadini. Noi siamo una famiglia normalissima e dignitosa. Io chiedo giustizia e lo faccio per le bambine di mia figlia. Ci dobbiamo credere».
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