Montesilvano, parlano gli immigrati: «Dormiamo in spiaggia e non siamo delinquenti»
I senegalesi sfrattati dal ghetto di via Ariosto si sono riversati sul lungomare. «Molti di noi sono nati qui, ma ci hanno buttati per strada. E ora che facciamo?»
MONTESILVANO. Lo striscione dei senegalesi sfrattati e il presidio a oltranza della polizia in via Ludovico Ariosto, a Montesilvano, sono gli ultimi atti di una storia ventennale di degrado, sporcizia e piccole violenze di quartiere, mal tollerate dai residenti della zona a ridosso della riviera turistica e modaiola.
«Non siamo delinquenti, molti di noi sono nati in via Ariosto, Montesilvano è la nostra città. Ma gli amministratori ci hanno buttato per strada e adesso che facciamo? Dormiamo tutti in spiaggia la notte, ci laviamo facendoci il bagno in mare e da una settimana indossiamo gli stessi vestiti perché i nostri indumenti sono rimasti dentro gli appartamenti».
Provano a difendere le loro ragioni, i senegalesi sfrattati il 30 maggio scorso dai palazzi di via Ariosto (stretti tra via Ungheria e via Giovanni Verga) nel corso di uno sgombero ordinato dal sindaco Francesco Maragno (dopo mesi di preavviso agli inquilini) per cause legate alla sicurezza, alle condizioni strutturali e igienico-sanitarie delle abitazioni le cui finestre e portoni sono state murate da blocchi di forati e calce.
Nel cortile delle palazzine svuotate dagli inquilini, ma anche di oggetti griffati e droghe, conseguenza di affari illeciti che si consumavano tra le mura di casa e anche fuori secondo le indagini delle forze dell'ordine, restano le cataste di mobili, coperte, suppellettili, cuscini, materassi, carcasse di televisori, sedie, che il Comune dovrà provvedere a ripulire nei prossimi giorni.
Ma, intanto, la bomba sociale si è spostata da via Ariosto alle spiagge antistanti, dove normalmente si svolge la vita quotidiana di bagnanti e turisti, negli stabilimenti a due passi dai grandi alberghi. Dove la comunità senegalese sfrattata ha trascorso le ultime notti e gli ultimi giorni. A dormire sulla sabbia su coperte e teli di fortuna. A lavarsi nell'acqua del mare e dopo indossare gli abiti sporchi di una settimana. A mangiare in piedi dove capita. Così raccontano gli sfrattati delle palazzine di via Ariosto piantonate dalla polizia. Un presidio h24 di uomini e donne in divisa e in borghese, a bordo di volanti e furgoni. Ieri mattina abbiamo provato ad avvicinare alcuni senegalesi, quasi tutti di giovane età. Vagavano intorno al loro striscione di protesta con su scritto: «La casa è di chi la abita, tutti vicino ai fratelli senegalesi» posizionato su un muretto di cemento sul lungomare Aldo Moro. In mano sacchetti di neole che ingurgitavano voracemente. «Ecco che cosa mangiamo nel mese del Ramadan in cui dovremo avere la tranquillità per osservare certi rituali», fanno notare. Qualcuno vi sta aiutando? «Nessuna associazione di volontariato si è fatta viva». Eppure donne, bambini e anziani sono stati allocati in alcuni alloggi trovati grazie all'intervento delle associazioni di volontariato del territorio. «Non abbiamo vestiti puliti da metterci, sono rimasti dentro le case». Eppure, sanno che i loro indumenti sono impacchettati in alcuni depositi comunali, catalogati e schedati piano per piano, appartamento per appartamento. Che lavoro fate? «Io buttafuori nei locali». E un altro: «Io sono un carpentiere». Un altro ancora mima con la mano un gesto inconfondibile: «Io faccio il gigolò». E ora che farete? «Non lo sappiamo». Molti di loro hanno casa altrove, anche fuori Pescara, e si trovano sulla riviera per affari, queste le voci che circolano nella zona. Alcuni sono accovacciati lungo i muri di uno stabilimento balneare. Rifiutano di farsi fotografare. Ad un certo punto la calma apparente della piccola comunità che vive per strada si trasforma in rabbia. I nervi di un giovane con un grosso medaglione al collo, saltano.
Le domande della cronista risultano inopportune. Veniamo presi a male parole, spintonati e strattonati davanti alla folla di bagnanti e automobilisti. «Vattene, vattene via, sbirro di merda» urla il ragazzo a squarciagola, scambiandoci per qualcun altro. Anche i residenti della vicina via Verga esprimono rabbia e disagio attraverso un cartello eloquente: «Vendesi appartamento a metà prezzo e anche a rate».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
«Non siamo delinquenti, molti di noi sono nati in via Ariosto, Montesilvano è la nostra città. Ma gli amministratori ci hanno buttato per strada e adesso che facciamo? Dormiamo tutti in spiaggia la notte, ci laviamo facendoci il bagno in mare e da una settimana indossiamo gli stessi vestiti perché i nostri indumenti sono rimasti dentro gli appartamenti».
Provano a difendere le loro ragioni, i senegalesi sfrattati il 30 maggio scorso dai palazzi di via Ariosto (stretti tra via Ungheria e via Giovanni Verga) nel corso di uno sgombero ordinato dal sindaco Francesco Maragno (dopo mesi di preavviso agli inquilini) per cause legate alla sicurezza, alle condizioni strutturali e igienico-sanitarie delle abitazioni le cui finestre e portoni sono state murate da blocchi di forati e calce.
Nel cortile delle palazzine svuotate dagli inquilini, ma anche di oggetti griffati e droghe, conseguenza di affari illeciti che si consumavano tra le mura di casa e anche fuori secondo le indagini delle forze dell'ordine, restano le cataste di mobili, coperte, suppellettili, cuscini, materassi, carcasse di televisori, sedie, che il Comune dovrà provvedere a ripulire nei prossimi giorni.
Ma, intanto, la bomba sociale si è spostata da via Ariosto alle spiagge antistanti, dove normalmente si svolge la vita quotidiana di bagnanti e turisti, negli stabilimenti a due passi dai grandi alberghi. Dove la comunità senegalese sfrattata ha trascorso le ultime notti e gli ultimi giorni. A dormire sulla sabbia su coperte e teli di fortuna. A lavarsi nell'acqua del mare e dopo indossare gli abiti sporchi di una settimana. A mangiare in piedi dove capita. Così raccontano gli sfrattati delle palazzine di via Ariosto piantonate dalla polizia. Un presidio h24 di uomini e donne in divisa e in borghese, a bordo di volanti e furgoni. Ieri mattina abbiamo provato ad avvicinare alcuni senegalesi, quasi tutti di giovane età. Vagavano intorno al loro striscione di protesta con su scritto: «La casa è di chi la abita, tutti vicino ai fratelli senegalesi» posizionato su un muretto di cemento sul lungomare Aldo Moro. In mano sacchetti di neole che ingurgitavano voracemente. «Ecco che cosa mangiamo nel mese del Ramadan in cui dovremo avere la tranquillità per osservare certi rituali», fanno notare. Qualcuno vi sta aiutando? «Nessuna associazione di volontariato si è fatta viva». Eppure donne, bambini e anziani sono stati allocati in alcuni alloggi trovati grazie all'intervento delle associazioni di volontariato del territorio. «Non abbiamo vestiti puliti da metterci, sono rimasti dentro le case». Eppure, sanno che i loro indumenti sono impacchettati in alcuni depositi comunali, catalogati e schedati piano per piano, appartamento per appartamento. Che lavoro fate? «Io buttafuori nei locali». E un altro: «Io sono un carpentiere». Un altro ancora mima con la mano un gesto inconfondibile: «Io faccio il gigolò». E ora che farete? «Non lo sappiamo». Molti di loro hanno casa altrove, anche fuori Pescara, e si trovano sulla riviera per affari, queste le voci che circolano nella zona. Alcuni sono accovacciati lungo i muri di uno stabilimento balneare. Rifiutano di farsi fotografare. Ad un certo punto la calma apparente della piccola comunità che vive per strada si trasforma in rabbia. I nervi di un giovane con un grosso medaglione al collo, saltano.
Le domande della cronista risultano inopportune. Veniamo presi a male parole, spintonati e strattonati davanti alla folla di bagnanti e automobilisti. «Vattene, vattene via, sbirro di merda» urla il ragazzo a squarciagola, scambiandoci per qualcun altro. Anche i residenti della vicina via Verga esprimono rabbia e disagio attraverso un cartello eloquente: «Vendesi appartamento a metà prezzo e anche a rate».
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