Morì per calcoli, caso riaperto
La Cassazione: non si archivi, si indaghi sui medici.
PESCARA. La Cassazione riapre l’inchiesta sulla morte di Amedeo Nittoli, l’ex insegnante della scuola media «Tinozzi» morto in ospedale il 10 agosto del 2006 dopo un ricovero per calcoli renali. Accogliendo il ricorso della famiglia, la suprema corte ha rinviato gli atti alla procura definendo «abnorme» l’atto di archiviazione. L’indagine era stata dichiarata conclusa a fine maggio dal giudice per le indagini preliminari, che aveva accolto la richiesta di archiviazione formulata dal pm Paolo Pompa dopo tre anni di battaglie da parte della figlia dell’insegnante deceduto, l’avvocato Elena Nittoli, determinata a far luce sulla morte del padre. Con la sentenza 1156, depositata nei giorni scorsi, la quarta sezione penale della Cassazione, presieduta da Carlo Brusco, ha invece annullato il provvedimento con rinvio, rimandando gli atti alla procura.
Con questa motivazione: «L’atto in questione non tiene conto della richiesta formalmente avanzata dal pm in udienza, intesa a ottenere l’ordine di iscrizione a carico delle persone alle quali il fatto risulta astrattamente riferibile e già identificate allo stato. Tale richiesta» sottolineano i giudici, «sopravvive rispetto alla richiesta di archiviazione». Con questa decisione, la suprema corte determina di fatto la riapertura dell’inchiesta, come aveva chiesto durante l’udienza di opposizione (i familiari avevano sollecitato il proseguimento delle indagini) il pm Gennaro Varone, presente in sostituzione del collega Pompa.
In quella sede, Varone aveva chiesto indietro gli atti, rilevando proprio la mancata iscrizione delle persone coinvolte nella vicenda nel registro degli indagati, ma il gip aveva ritenuto comunque di procedere con l’archiviazione. Adesso, il procedimento dovrà essere riaperto. «Io mi aspetto ora l’iscrizione nel registro degli indagati e ho chiesto al procuratore capo Nicola Trifuoggi di assumere lui la guida dell’inchiesta» dice Elena Nittoli. «Non è una caccia alle streghe: quello che io voglio capire è come possano i calcoli portare alla morte di una persona: calcoli, perché di questo è morto mio padre». Quando morì, il 10 agosto, stroncato da uno choc settico provocato da una infezione renale, Amedeo Nittoli aveva 69 anni. Esattamente un mese prima, l’ex insegnante era stato visitato da uno specialista dell’ospedale «Spirito Santo» perché accusava fastidi a livello urologico.
Gli erano stati prescritti dei farmaci, in vista di un intervento chirurgico da effettuare in autunno. Il 7 agosto, però, Nittoli accusa fortissimi dolori ai reni e si reca al pronto soccorso per un controllo: gli viene diagnosticata una colica renale e viene dimesso, ma nel pomeriggio l’uomo peggiora e viene ricoverato con febbre altissima e in stato confusionale nel reparto di Medicina generale con l’ipotesi che si tratti di una forma influenzale particolarmente aggressiva. Il reparto però è pieno e il paziente viene «appoggiato» in Urologia dove, secondo quanto sostengono i familiari, sarà visitato dai dottori di Medicina solo martedì 9 agosto. Alle 8 del giorno dopo muore dopo il trasferimento in Rianimazione. Il giorno seguente, l’11 agosto, l’esame autoptico conferma che l’anziano è morto per una setticemia provocata da una infezione renale dovuta ai calcoli, una spiegazione che per la famiglia appare inaccettabile: «Come si può morire per calcoli?» ripete ancora oggi la figlia.
Con questa motivazione: «L’atto in questione non tiene conto della richiesta formalmente avanzata dal pm in udienza, intesa a ottenere l’ordine di iscrizione a carico delle persone alle quali il fatto risulta astrattamente riferibile e già identificate allo stato. Tale richiesta» sottolineano i giudici, «sopravvive rispetto alla richiesta di archiviazione». Con questa decisione, la suprema corte determina di fatto la riapertura dell’inchiesta, come aveva chiesto durante l’udienza di opposizione (i familiari avevano sollecitato il proseguimento delle indagini) il pm Gennaro Varone, presente in sostituzione del collega Pompa.
In quella sede, Varone aveva chiesto indietro gli atti, rilevando proprio la mancata iscrizione delle persone coinvolte nella vicenda nel registro degli indagati, ma il gip aveva ritenuto comunque di procedere con l’archiviazione. Adesso, il procedimento dovrà essere riaperto. «Io mi aspetto ora l’iscrizione nel registro degli indagati e ho chiesto al procuratore capo Nicola Trifuoggi di assumere lui la guida dell’inchiesta» dice Elena Nittoli. «Non è una caccia alle streghe: quello che io voglio capire è come possano i calcoli portare alla morte di una persona: calcoli, perché di questo è morto mio padre». Quando morì, il 10 agosto, stroncato da uno choc settico provocato da una infezione renale, Amedeo Nittoli aveva 69 anni. Esattamente un mese prima, l’ex insegnante era stato visitato da uno specialista dell’ospedale «Spirito Santo» perché accusava fastidi a livello urologico.
Gli erano stati prescritti dei farmaci, in vista di un intervento chirurgico da effettuare in autunno. Il 7 agosto, però, Nittoli accusa fortissimi dolori ai reni e si reca al pronto soccorso per un controllo: gli viene diagnosticata una colica renale e viene dimesso, ma nel pomeriggio l’uomo peggiora e viene ricoverato con febbre altissima e in stato confusionale nel reparto di Medicina generale con l’ipotesi che si tratti di una forma influenzale particolarmente aggressiva. Il reparto però è pieno e il paziente viene «appoggiato» in Urologia dove, secondo quanto sostengono i familiari, sarà visitato dai dottori di Medicina solo martedì 9 agosto. Alle 8 del giorno dopo muore dopo il trasferimento in Rianimazione. Il giorno seguente, l’11 agosto, l’esame autoptico conferma che l’anziano è morto per una setticemia provocata da una infezione renale dovuta ai calcoli, una spiegazione che per la famiglia appare inaccettabile: «Come si può morire per calcoli?» ripete ancora oggi la figlia.