«Nascondevo le tangenti nel giornale»

Le cinque confessioni fiume dell’imprenditore D’Alessandro: andavo all’Aca e all’Ater e consegnavo le buste

PESCARA. «Io andavo all’ufficio suo, gli mettevo dentro a un giornale o dentro una cosa... Glielo posavo sulla scrivania e me ne andavo». Così l’imprenditore Claudio D’Alessandro racconta agli inquirenti la consegna delle presunte tangenti al presidente dell’Aca di Pescara, Ezio Di Cristoforo. Stessa scena e stesso metodo con l’amministratore unico dell’Ater di Chieti, Marcello Lancia: «Io i soldi delle dazioni illecite, nelle percentuali del 5 per cento dei lavori, li ho dati personalmente a Lancia e i soldi che davo, certamente una volta, li ho lasciati nell’ufficio Ater di Chieti, dentro una busta poi inserita in un giornale, il Centro, l’ho data a Marasco ma sempre destinata a Lancia».

Come Angelini? Un po’ come l’allora titolare della clinica privata di Chieti Vincenzo Angelini che nel 2008 si è seduto 7 volte davanti ai pm di Pescara per raccontare i retroscena della sanità abruzzese, così D’Alessandro è stato ascoltato 5 volte nella stessa procura. Arrestato nel primo filone d’indagine, il 4 dicembre 2012, sui lavori dei lampioni a Cepagatti, stavolta è indagato per corruzione ma ha fornito «amplissima» collaborazione.

«Io ricattato». Sui versamenti a Di Cristoforo, D’Alessandro dice: «Per la gara del 2001 dell’importo di 431.691 euro dovevo versare e ho dato circa 25 mila euro; per la gara di manutenzione del 2012 per un importo di 439.507 ho dato circa 26.370 euro; per la gara di manutenzione del 2013-2014, ovvero estesa a un biennio, l’importo, anche qui era del 6 per cento dell’aggiudicazione, ammontava a circa 48 mila euro sul valore di 805.774. Di questa somma, non ho dato ancora nulla avendo io assunto meramente la promessa e ciò perché, nelle more, sono stato arrestato. Quando dico promessa, voglio significare che io come di consueto ho dovuto subire il ricatto dell’impegno alla dazione di denaro perché altrimenti non mi aggiudicavo la gara. Questo era ben chiaro tra me e Di Cristoforo e lui mi aveva detto senza mezzi termini “se mi riconosci queste percentuali è bene altrimenti io cambio ditta e non ti faccio entrare neanche alla porta” con ciò intendendo che non solo non avrei più lavorato ma che avrebbe trovato altri poveracci come me che avrebbero pagato ciò che lui chiedeva, facendomi capire che questo era il sistema. Ciò me lo ha detto in ufficio, anche a brutto muso e a voce alta».

«Presidente arrabbiato». D’Alessandro parla di Di Cristoforo arrabbiato: «Si stava preparando la gara per il 2012 e Di Cristoforo era arrabbiato perché dopo l’aggiudicazione voleva l’intero importo preteso (ovvero i 26 mila euro) e mi aveva rimproverato del fatto che nel 2011, per mie difficoltà personali, avevo un po’ allungato i tempi, cioè non avevo pagato, come invece lui pretendeva, entro un paio di mesi dall’aggiudicazione». L’imprenditore racconta anche di un consiglio di Di Cristoforo: «Mi diceva “fai come la formica, attrezzati per racimolare i soldi in tempo perché è vero che gli importi dovuti sono maggiori ma anche maggiore è l’importo dei lavori appaltati”. Fu la prima volta che si era svolta una gara biennale».

«Ho avuto paura». Del rapporto con il tenente colonnello dell’Esercito William Basciano, l’imprenditore parla così: «Mi disse che c’era una percentuale da pagare che variava nella misura del 5-6 per cento dell’importo dell’aggiudicazione a seconda della bontà del lavoro e dell’esistenza di alcune rifiniture. Se definire al 5 o al 6 le percentuali delle tangenti lo decideva direttamente Basciano ma anch’io dovevo avere un ritorno economico. Io davo uno sguardo al computo dei lavori e se ce la facevo a sostenere quei costi extra che mi venivano richiesti dal pubblico ufficiale accettavo. Ho avuto paura ad accettare l’accordo di pagamento ma sapevo che non avevo altra strada se non quella di ridurre le mie spese e ristrutturare completamente al ribasso le mie aziende». Agli investigatori della squadra mobile e al pm Anna Rita Mantini, D’Alessandro racconta anche che Basciano ha «preteso» l’assunzione del figlio. E poi ricorda un dettaglio: «Prima del mio arresto, Basciano è venuto nel mio ufficio e mi ha lasciato una busta che si riferiva a una nuova gara per l’anno 2013 che, a suo dire, avremmo potuto attrezzare come di solito, in modo amichevole».

«Due appalti a Chieti». Negli interrogatori, l’imprenditore parla anche delle gare d’appalto dell’Ater di Chieti: «Per l’Ater di Chieti, le liste di ditte che io presentavo per le gare da turbare le presentavo a Marasco e a Faraone che quindi erano consapevoli degli accordi di turbativa, solo qualche volta le davo a Lancia personalmente». In un altro stralcio, D’Alessandro dice: «Gli appalti brogliati per i quali ho pagato sono principalmente due. Si tratta dei lavori di riparazione dei danni del terremoto del 2009 all’edificio sito in Chieti, via Amiternino 114-116-118, e di quello sito alla stessa strada ai civici 108-110-112.

Soldi e patto sfumato. D’Alessandro chiama in causa anche Salvatore Tasso, geometra comunale di Montesilvano e ammette di «aver corriposto a Tasso, subito dopo l’aggiudicazione della gara della scuola di Villa Verrocchio la somma di 9 mila euro e di averlo fatto nell’ufficio in municipio a fronte di una esplicita richiesta» di Tasso. L’imprenditore parla anche di un accordo sfumato per i lavori di via Maresca, la strada dei Grandi alberghi: «D’Alessandro chiarisce agli inquirenti», è la sintesi del gip Luca De Ninis, «che anche per tale gara pubblica pacificamente oggetto di accordo di turbativa, vi fu la promessa, da lui assunta nei confronti di Tasso, di futura dazione di contanti nella misura del 5 per cento del valore formale dell’aggiudicazione pari a circa 20 mila euro. L’accordo non si concluse con il pagamento poiché D’Alessandro venne raggiunto dalla misura cautelare».

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