«Noi bloccati in Grecia: non dovevamo partire»
Uno dei ragazzi in quarantena: è una prova di sopravvivenza, agli amici diciamo di restare a casa
PESCARA. «Questa esperienza allucinante ci ha maturati. Torneremo a Pescara, che ci manca tanto, con la consapevolezza che la nostra vita è cambiata, che le scelte del futuro saranno più ponderate e riflessive. Quel che è accaduto che ci serva di lezione».
Ha 21 anni, è uno studente universitario del Pescarese, non vuole rivelare il nome per proteggere la sua privacy e quella dei 13 amici “reclusi” con lui nell’hotel Covid di Kerkira, in Grecia, dove da otto giorni (il gruppo è atterrato l’8 luglio a Corfù, domenica 11 l’amara scoperta del contagio per 6 di loro, l’isolamento da martedì 13) stanno scontando la quarantena che terminerà a fine settimana. Dopo febbre e malori, le condizioni di salute dei 6 stanno migliorando. I ragazzi che come lui stanno bene, ripartiranno il 26 luglio alle 13.05 dall’aeroporto della città che li ospita. Ma intanto il 21enne, la voce del gruppetto di giovani di Montesilvano, Pescara e Pianella, racconta il dramma che li ha colpiti durante la vacanza premio dopo la Maturità e l’isolamento quotidiano (2 per camera) in un hotel a 5 stelle, in terra straniera.
Cosa fate tutto il giorno?
«Io dormo fino a mezzogiorno, così la giornata passa più in fretta. Non abbiamo libri, giornali o tv, ma molto tempo per annoiarci. Comunichiamo col cellulare o ci gridiamo dai balconi per sentirci più vicini. Ieri sera è arrivata la polizia perché abbiamo fatto baccano ma nessuna conseguenza. Ordiniamo in inglese pizza e dolci dai delivery on line, perché quello che ci distribuiscono qui ha sapori disgustosi, tipo le farfalle con l’aceto. Tutto nella spazzatura».
Quanto peserà sul vostro futuro questa reclusione forzata?
«Molto, tutto. Possiamo uscire solo sul balcone, lì si svolge la gran parte della nostra ristretta quotidianità. Per quanto mi riguarda, ogni scelta che farò sarà con cognizione di causa, ponderata. Avremmo dovuto ascoltare i nostri genitori, che ci hanno sostenuto con grande amore in questa vicenda, ma che ci avevano sconsigliato di partire: avevano previsto tutto. Però ci siamo detto: perché dovrebbe capitare proprio a noi? E invece è successo e che ci serva di lezione. Ai nostri amici di Pescara stiamo suggerendo di restare a casa, di usare la testa. Per noi è stata una prova di sopravvivenza, come vivere in un reality show, stare chiusi è soffocante, claustrofobico. Non ce la facciamo più».
Come avete reagito dopo la scoperta del contagio?
«Anche se io sono sempre stato bene, siamo scoppiati a piangere per la disperazione, la paura, il panico. È stato doloroso e straziante, eravamo depressi e abbattuti, ci siamo sempre fatti coraggio a vicenda. Ci hanno rinchiusi qui da martedì. All’inizio ci sentivamo degli untori, poi ci siamo abituati a questa nuova condizione, questa ultima settimana sarà lunghissima e molto pesante. Non passerà mai».
Le prime cose da fare al ritorno a casa?
«Stare con mamma, papà e gli amici, io con Niccolò, passeggiare liberi sul lungomare e goderci arrosticini e hamburger». (c.co.)
Ha 21 anni, è uno studente universitario del Pescarese, non vuole rivelare il nome per proteggere la sua privacy e quella dei 13 amici “reclusi” con lui nell’hotel Covid di Kerkira, in Grecia, dove da otto giorni (il gruppo è atterrato l’8 luglio a Corfù, domenica 11 l’amara scoperta del contagio per 6 di loro, l’isolamento da martedì 13) stanno scontando la quarantena che terminerà a fine settimana. Dopo febbre e malori, le condizioni di salute dei 6 stanno migliorando. I ragazzi che come lui stanno bene, ripartiranno il 26 luglio alle 13.05 dall’aeroporto della città che li ospita. Ma intanto il 21enne, la voce del gruppetto di giovani di Montesilvano, Pescara e Pianella, racconta il dramma che li ha colpiti durante la vacanza premio dopo la Maturità e l’isolamento quotidiano (2 per camera) in un hotel a 5 stelle, in terra straniera.
Cosa fate tutto il giorno?
«Io dormo fino a mezzogiorno, così la giornata passa più in fretta. Non abbiamo libri, giornali o tv, ma molto tempo per annoiarci. Comunichiamo col cellulare o ci gridiamo dai balconi per sentirci più vicini. Ieri sera è arrivata la polizia perché abbiamo fatto baccano ma nessuna conseguenza. Ordiniamo in inglese pizza e dolci dai delivery on line, perché quello che ci distribuiscono qui ha sapori disgustosi, tipo le farfalle con l’aceto. Tutto nella spazzatura».
Quanto peserà sul vostro futuro questa reclusione forzata?
«Molto, tutto. Possiamo uscire solo sul balcone, lì si svolge la gran parte della nostra ristretta quotidianità. Per quanto mi riguarda, ogni scelta che farò sarà con cognizione di causa, ponderata. Avremmo dovuto ascoltare i nostri genitori, che ci hanno sostenuto con grande amore in questa vicenda, ma che ci avevano sconsigliato di partire: avevano previsto tutto. Però ci siamo detto: perché dovrebbe capitare proprio a noi? E invece è successo e che ci serva di lezione. Ai nostri amici di Pescara stiamo suggerendo di restare a casa, di usare la testa. Per noi è stata una prova di sopravvivenza, come vivere in un reality show, stare chiusi è soffocante, claustrofobico. Non ce la facciamo più».
Come avete reagito dopo la scoperta del contagio?
«Anche se io sono sempre stato bene, siamo scoppiati a piangere per la disperazione, la paura, il panico. È stato doloroso e straziante, eravamo depressi e abbattuti, ci siamo sempre fatti coraggio a vicenda. Ci hanno rinchiusi qui da martedì. All’inizio ci sentivamo degli untori, poi ci siamo abituati a questa nuova condizione, questa ultima settimana sarà lunghissima e molto pesante. Non passerà mai».
Le prime cose da fare al ritorno a casa?
«Stare con mamma, papà e gli amici, io con Niccolò, passeggiare liberi sul lungomare e goderci arrosticini e hamburger». (c.co.)