l'appello

Omicidio Rigante, 30 anni a Massimo Ciarelli: i giudici non hanno creduto a Nobile

L'amico della vittima aveva detto: "Il colpo partì mentre lo strattonavo", ma la premeditazione non è caduta. Condanne ridotte invece a nipote e cugini del rom: 16 e 13 anni

PESCARA. Omicidio Rigante: la Corte d'appello dell'Aquila conferma la condanna di primo grado per Massimo Ciarelli comminandogli 30 anni di reclusione, mentre scende a 16 anni la pena per il cugino Luigi Ciarelli e a 13 anni per il nipote Domenico e per i cugini Antonio e Angelo Ciarelli, che in primo grado erano stati tutti condannati a 19 anni e 4 mesi. Tutti e cinque gli imputati sono stati assolti invece dall'accusa di tentato omicidio in merito ai due colpi esplosi in piazza Grue la sera del raid omicida. A nulla quindi è servita la tesi “accidentale” portata dalla testimonianza di Mimmo Nobile, capo ultrà del Pescara e amico fraterno di Rigante, in carcere a Chieti per altre vicende. Una testimonianza che sembrava aver dato i risultati sperati alla lettura della sentenza avvenuta alle 17, quando dopo un pomeriggio di angoscia si era diffusa la voce che Massimo Ciarelli era stato condannato a 16 anni di reclusione per l'omicidio di Domenico Rigante, tifoso del Pescara ucciso nel maggio 2012 in un appartamento del capoluogo adriatico in via Polacchi. E' stato il Procuratore Generale, Romolo Como, a chiedere la conferma della pena.

«Il colpo è partito accidentalmente», ha detto Nobile davanti alla corte, cambiando per la terza volta versione, di cui l’ultima («è stata una disgrazia») affidata a una lettera inviata al Centro di recente. «Quella sera ho strattonato Massimo Ciarelli perché volevo allontanarlo da Rigante, l’ho preso per le spalle e in quel momento, quando l’ho tirato, è partito il colpo. Il resto? Non ricordo niente, stavo dormendo, ho cercato di evitare quello che è successo».

Accolto sul blindato dai cori di una quarantina di ultrà arrivati da Pescara all’Aquila per inneggiare al povero Domenico, Nobile, che il giorno dei funerali di Rigante ha portato a spalla con loro la bara dell’amico ucciso, dentro l’aula ha evitato lo sguardo di papà Rigante e della mamma di Domenico, Antonietta Ottaviano, parlando con lo sguardo fisso verso gli imputati Massimo, Domenico, Luigi, Antonio e Angelo Ciarelli seduti a pochi metri dai genitori di Domenico. Una decina di minuti in cui il 45enne pescarese, con la sua terza verità, ha fornito la testimonianza che serviva alla difesa per confermare la non volontarietà dell’omicidio e attestarne, invece, la natura accidentale o preterintenzionale come già asserito in primo grado dall’avvocato di Massimo Ciarelli, Franco Metta.

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Una testimonianza che il procuratore capo Romolo Como nella sua requisitoria ha invece qualificato come inattendibile, chiedendo, dopo un’ora e mezza di ricostruzione certosina dei fatti, la conferma delle condanne di primo grado: 30 anni per Massimo, 19 anni e 4 mesi per gli altri 4, insistendo sulla premeditazione e sul concorso in pieno, e non di minima importanza, degli altri quattro Ciarelli. Poi è stata la volta del legale di parte civile, l’avvocato Ranieri Fiastra che associandosi alla richiesta del procuratore ha invece ricordato alla corte, ai fini dei requisiti per ottenere il risarcimento da parte dello Stato, quanto conti la conferma delle condanne di primo grado. Per la difesa, il primo a prendere la parola è stato l’avvocato Metta il quale, dopo due ore e mezza di arringa è ripartito per Foggia, dove ha atteso la sentenza.

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Oltre alla preterintenzionalità, Metta aveva sostenuto anche la tesi del colpo accidentale avvalorata dal testimone Mimmo Nobile che lo stesso avvocato pugliese aveva chiesto che fosse sentito già in primo grado (richiesta rigettata) e a maggior ragione dopo la lettera al Centro. «La premeditazione di Ciarelli non esiste», ha ribadito Metta, «e lo conferma il fatto che ha sparato un unico colpo a distanza ravvicinata, che l’ha colpito in una parte non vitale e che l’ha lasciato in vita e se n’è andato, sapendo che era in vita». E poi la questione della provocazione: «Ciarelli fu pestato la sera prima», ha ricordato Metta. Omicidio preterintenzionale e complicità anomala sono state le tesi degli altri difensori, Marco Di Giulio per Luigi Ciarelli e, per Domenico Ciarelli, Giancarlo De Marco che oggi ha concluso la sua arringa.Dopo di lui ha parlato il difensore dei gemelli Angelo e Antonio Ciarelli, l’avvocato Antonio De Michele. Quindi la confusione sulle condanne e infine la conferma per Ciarelli e la riduzione di pena per i quattro parenti.

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