Parolisi colpevole: ergastolo
Il gip Tommolini: ha ucciso e sfregiato Melania. Pagherà anche 2 milioni di danni
TERAMO. La verità è quella che resta al di sopra di ogni cosa, unica, evidente, stabile, immutabile. Oltre ogni ragionevole dubbio. Mancano pochi minuti alle 20 quando Salvatore Parolisi precipita nell'abisso di una parola: ergastolo. Il giudice la pronuncia quando lui non è in aula. Rientra qualche istante dopo, ma non vuole risentire la lettura del dispositivo. E' un uomo solo. Con lui nessun familiare, solamente gli avvocati. Piange questo caporal maggiore dell'esercito, soldato in Afghanistan, finito nel ventre di un delitto devastante più di una guerra. Il fine pena mai è una deflagrazione che uccide ogni futuro, travolge ogni speranza. Il giudice Marina Tommolini inanella quattro ore di camera di consiglio per mettere nero su bianco un dispositivo di sentenza che per papà Gennaro Rea «è quella della giustizia vera, ma anche della sconfitta perchè Salvatore è il padre di nostra nipote».Una bambina che qualche giorno fa ha compiuto tre anni e che Parolisi, forse, non rivedrà più. Il giudice ha revocato la potestà genitoriale, già sospesa dal tribunale dei minori di Napoli. E ancora: ha disposto il pagamento di una provvisionale di due milioni, uno alla figlia, uno ai genitori di Melania; ha interdetto per sempre il militare dai pubblici uffici.
In un tribunale blindato, assediato da curiosi e telecamere, l'epilogo del caso giudiziario dell'anno si consuma dopo 18 mesi dall'omicidio di Melania Rea, 29 anni, moglie, mamma, massacrata con 35 coltellate, lasciata agonizzante tra gli alberi del bosco di Ripe e straziata da colpi sulle gambe quando era morta. Per capire i perché di una condanna bisognerà aspettare le motivazioni preannunciate tra 90 giorni, ma è evidente che una consequenzialità logica delle tracce ha fatto da filo conduttore in un processo indiziario in cui la prova scientifica non si è sostituita a quella tradizionale, frutto di attività di ascolto, di testimonianze e collegamenti di eventi. Il tutto secondo un procedimento che parte da un'intuizione e cerca la conferma mediante un ragionamento logico deduttivo. L’impianto accusatorio della procura ha retto e convinto. «Abbiamo fornito tutti gli elementi per un giudizio fondato», aveva detto il pm Davide Rosati in una pausa.
Nessuno sconto.La richiesta della pubblica accusa (il fascicolo era intestato al procuratore Gabriele Ferretti insieme a Rosati e al pm Greta Aloisi) è stata accolta in pieno: ergastolo senza isolamento diurno per la riduzione di un terzo della pena prevista nel rito abbreviato. Ergastolo per un omicidio aggravato dalla minorata difesa, dal vincolo di parentela, dalla crudeltà, dai futili motivi. Ergastolo per il vilipendio di cadavere.
Deduzione e consequenzialità: una cosa accade, o è accaduta, perché vi sono determinate premesse o condizioni, in origine, che l'hanno determinata. Un principio logico deduttivo al quale sembra contrapporsi quello empirico-induttivo: la super perizia sull’ora della morte disposta dal giudice nel momento in cui la difesa ha chiesto il rito abbreviato non ha dato certezze. Per i periti si può sostenere solo che Melania è morta il 18 aprile a Ripe. A che ora non si sa. Ma per l’accusa Melania è stata uccisa tra le 14.30 e le 15. Lo dicono le fasi della digestione, lo dicono le larve sul cadavere. L'ha uccisa Parolisi: è stato un delitto d'impeto, non premeditato, maturato forse al termine di un litigio: il caporal maggiore aveva promesso alla sua amante che si stava separando dalla moglie, che quel fine settimana di Pasqua l’avrebbe raggiunta per conoscere i suoi genitori. Forse l’ha detto a Melania, forse lei lo ha capito mentre la vita le sfuggiva tra gli alberi di un bosco.
Alle 15 Parolisi era con Melania a Ripe e non sul pianoro di Colle San Marco. Lo dicono, sostiene l’accusa, 52 testimoni «affidabili e circostanziati» che erano sul pianoro e che non l'hanno visto così come lui non li ha visti; lo dicono le foto scattate dai ragazzi che stavano giocando a pallone vicino all'altalena. Parolisi, insiste l’accusa, mente. Lo fa per costituirsi un alibi, per sviare le indagini. E questo, scrivono i pm facendo riferimento a numerosi pronunciamenti della Cassazione, è qualcosa di più di un indizio. Ma, rincara l’accusa, il caporal maggiore cerca di depistare anche quando, mentendo, dice ai colleghi della caserma in cui addestra soldatesse che le forze dell’ordine non vogliono che si facciano battute alla ricerca della donna; quando il 19 aprile, il giorno dopo la scomparsa della moglie, chiama la soldatessa amante per dirle che Melania non si trova e per chiederle di cancellare il loro profilo su Facebook. E depista ancora quando, insiste Rosati, proprio la mattina del 19, in un arco di tempo compreso tra le 9 e le 10, torna a Ripe per sfregiare il corpo della madre di sua figlia con strani simboli. Simboli che ricordano quelli utilizzati per indicare sulle carte un reparto degli alpini (e Parolisi è un alpino) che il giudice, a sorpresa, due udienze fa ha inserito nel fascicolo processuale. Per il codice indizi convergenti e concordanti, per l’accusa prove, per il giudice verità.
La verità di una sentenza di primo grado che ora dovrà reggere in Appello. Per il caporal maggiore Parolisi, dicono i suoi legali, la battaglia è appena iniziata.
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