TRAGEDIA DELL'AUTOSTRADA
«Personalità rigida e perfezionista, il fuoco che covava sotto la cenere»
Il racconto dello psichiatra Massimo Di Giannantonio che ha parlato con Filippone sul viadotto
PESCARA. Una persona «in condizioni di gravissima alterazione psichiatrica». È questo il quadro che il professor Massimo Di Giannantonio (nella foto), direttore del Dipartimento di salute mentale della Asl di Chieti e della Scuola di specializzazione in psichiatria della Facoltà di medicina dell’Università D’Annunzio, si è trovato di fronte sul viadotto Alento della A14, quello dal quale Fausto Filippone ha gettato sua figlia Ludovica, prima di lanciarsi nel vuoto. Ore e ore di tentativi disperati per farlo desistere dal concludere il tragico disegno, lo stesso, probabilmente che già era costato la vita alla moglie, Marina Angrilli, e che certamente ha posto fine all’esistenza della loro bambina.
IL RACCONTO. «Mi trovavo sul viadotto», racconta il professor Di Giannantonio, «perché ero stato chiamato dalla sala operativa essendo il direttore del dipartimento di salute mentale. Quando sono arrivato c’erano già le forze dell’ordine che si stavano prodigando per riuscire a comprendere come salvare questo signore, perché la bambina, purtroppo, era già stata spinta nel vuoto. Anche il padre voleva lanciarsi, ma ha avuto un momento di ripensamento e si è aggrappato alla rete di protezione, a metà viadotto».
LA MEDIAZIONE. Il dialogo con Filippone si è protratto per molte ore, fin dopo le 20. La prima a intervenire è stata una psicologa volontaria che si trovava per caso sul posto, alla quale si sono aggiunti i negoziatori delle forze dell’ordine e il professor Di Giannantonio. «Durante l’intero arco di tempo», prosegue lo psichiatra, «abbiamo tentato di farlo riflettere sulla possibilità di non portare a termine quel disegno autodistruttivo che aveva avuto nel corso della giornata due terribili precedenti. Abbiamo tentato in tutti i modi di convincerlo, anche sulla possibilità di intervenire per tentare di salvare la vita della ragazza. Il paziente non aveva alcuna capacità di analisi lucida della realtà, ma una visione di se stesso, della situazione, delle proprie prospettive e del proprio futuro assolutamente negativa. Si considerava senza speranza, senza alcuna via d’uscita».
IL DISAGIO. Un avvenimento che si è verificato circa un anno e mezzo fa, del quale tuttavia l’uomo non ha voluto parlare, sarebbe all’origine del dramma. «Affermava di non essere mai stato una persona cattiva, scorretta, e che alcune condizioni della propria esistenza», prosegue Di Giannantonio, «erano state cambiate radicalmente nell’ultimo anno e mezzo, modificandone profondamente la personalità, l’approccio verso l’esistenza, con la conseguenza che gli era impossibile andare avanti. Come fatto anamnestico impostante ha parlato della scomparsa della madre, avvenuta a ottobre. Il tono dell’umore è radicalmente virato verso una condizione di depressione, di ritiro sociale, di distacco dalle relazioni familiari, ancorché avesse conservato una vita sociale apparentemente normale. È riuscito a tenere per sé la gravità del disagio, la sua distruttività. Apparentemente, e in maniera formale, è riuscito a condurre agli occhi degli altri un’esistenza che non aveva alcunché di patologico».
LA CRISI. La crisi psichiatrica iniziata nei mesi precedenti, poi si è acuita. «Il paziente ha evitato qualsiasi tipo di aiuto, da parte della famiglia, che si era prodigata nel comprendere le ragioni di questo disagio, degli amici. Gli era stato proposto di farsi aiutare», aggiunge lo psichiatra, «di farsi vedere, ma lui ferocemente ha rifiutato ogni forma di aiuto, anzi ha diffidato le persone che gli stavano accanto dall’approfondire le ragioni di questa sua sofferenza che faceva di tutto per negare. Fino a questo drammatico epilogo, segno della patologia esplosa al massimo livello di gravità».
LA PERSONALITÀ. Il profilo che traccia il direttore del Dipartimento di salute mentale della Asl di Chieti, parla di «una personalità nota per alcuni tratti di precisione, rigidità, obbligo alla perfezione. Sicuramente una struttura con tratti di vulnerabilità al giudizio degli altri, come se fosse dipendente da quello che potevano pensare di lui. Quando una serie di cose accadute nella sua vita ha cominciato a incrinare questa sua immagine priva di difetti, ombre e incertezze, cosa che ci ripeteva in continuazione», sottolinea il professor Di Giannantonio, «evidentemente ha cominciato ad andare in crisi, rispetto a questa immagine di sé, senza una sintomatologia tale da dover essere ricoverato. Un fuoco drammatico, che covava sotto la cenere e che lo ha costretto a uno sforzo infinito perché nessuno se ne accorgesse: il primo che non doveva accorgersene era esattamente egli stesso».