Pescara, agguato in via Nora. Di Risio scagiona Martelli: "Non è stato lui a spararmi"
L’ex bandito della banda Battestini gambizzato sotto casa scagiona l’arrestato: non ho mai fatto nomi, non sono un infame
PESCARA. «Non sono un infame, sono Claudio Di Risio, dopo 27 anni di carcere di massima sicurezza non esiste che mi fanno passare per un infame. Vogliono infangare il mio nome, ma non esiste». L’ex bandito protagonista, con la banda Battestini, di un pesante capitolo della storia criminale pescarese a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, s’è preso i due proiettili con cui l’hanno gambizzato alle sette di giovedì mattina, ma «passare da infame», come dice lui, proprio no. «Non mi potrò mai ridurre ad accusare il mio nemico. Prima mi dovrei solo suicidare».
Al telefono, agli arresti in casa, bloccato sul divano con 40 giorni di prognosi dovuti alla frattura della tibia, il giorno dopo i quattro spari esplosi contro il portone di casa sua, Di Risio ribalta tutto quello che è stato detto finora dopo l’agguato di giovedì e che ha portato in carcere il presunto responsabile Roberto Martelli. E cioé che, contrariamente a quanto hanno fatto trapelare gli investigatori, Di Risio dice di non aver visto chi gli ha sparato e tantomeno di aver fatto il nome di Martelli. «Ma anche se l’avessi visto», dice il vecchio bandito sfidando ancora una volta la legge che per questo prevede il reato di favoreggiamento, «non l’avrei mai detto». Perché è il codice della strada, ancora, l’unico riferimento di Claudio Di Risio.
«Sono le regole che mi hanno portato avanti in tutti questi anni e che mai nessuno mi potrà togliere. Sono le regole che mi ha insegnato la strada, perché io sono nato in mezzo alla strada. Vengo dai tombini della fognatura io, perché tante cose non le sapete. Sono uscito dalle fognature e ho fatto una vita di galera di alta sicurezza e non potrò mai ridurmi ad accusare neanche il mio peggior nemico. Perché sarei un infame. E all’infame si fa quello che gli tocca».
E allora che cosa è successo giovedì mattina, e perché nella notte tra sabato e domenica sono tornati a sparare ancora in via Nora, contro il portone della palazzina popolare in cui vive?
«Non lo so perché mi sono venuti a sparare, ci sto riflettendo. Quando sono tornati l’altra notte stavo sul divano a fumarmi una sigaretta. Ho sentito uno arrivare con lo scooter e poi gli spari». Spari che secondo Di Risio erano indirizzati a lui «forse per paura di chissà che cosa volevo fare adesso, che potevo reagire. Ma non posso capire proprio da dove arriva, forse perché sono diventato vecchio e stupido». Vecchio e stupido che però, come racconta, quando giovedì si è visto la pistola puntata, ha detto al suo aggressore “che cazzo sei venuto qua, con un giocattolo? Mi devi sparare in testa a me”. «Ma», si affretta a precisare, «ho visto solo la pistola e la mano che la impugnava. Una frazione di secondi per realizzare quello che era già accaduto». Cioé che un uomo armato, a viso scoperto, gli ha esploso contro sei colpi di pistola calibro 45, dall’alto verso il basso, con l’intenzione di ferirlo solamente e di sfidarlo, prima di scappare con un complice a bordo di una macchina. Momenti che Di Risio riassume così: «Stavo scendendo per portare fuori il cane. Quanto ho aperto la porta mi è squillato il citofono, ho pensato a un controllo perché sono ai domiciliari, in contemporanea ho aperto il portone e ho visto una persona che arrivava. Ma ho guardato solo la pistola e gli ho detto quelle cose. Forse c’era un’altra persona, penso di sì, secondo me erano in due oppure anche in tre. Ma se avessi fatto il nome di Roberto avrei fatto il nome di tutti quanti. Invece non ho visto nessuno in faccia. Perché sono venuti? Non lo so, sono appena uscito dal carcere, non avevo litigato con nessuno. È un agguato forse per paura di chissà che potevo fare. Ma fare cosa, se non abbiano neanche i soldi per fare la spesa?».
Un declino materiale e psicologico che di recente ha indotto il tribunale di Pescara a disporre una perizia su un vizio parziale di mente di Di Risio il quale, però, anche se ai margini le vecchie regole non le dimentica. E ripete: «Io non ho visto nessuno e non ho fatto nessuna affermazione. Per me quello che hanno arrestato può essere rilasciato perché per me non è stato, non l’ho visto. Hanno detto che ce l’aveva ancora con me per le esplosioni di sette anni fa. Ma per quei fatti mi hanno assolto e poi, come ha detto pure lui, c’eravamo già chiariti. La verità è che non ho visto nessuno. Non sono un mafioso che dice una cosa e ne fa un’altra. Sono Claudio Di Risio, 27 anni di carcere, non ho visto nessuno, e pure se ho visto non lo direi».
Perché, che succede a chi parla? «Gli succede quello che si merita», taglia corto Di Risio che alla fine tira fuori anche la banda Battestini: «Non è mai esistita, siamo stati un gruppo di cani sciolti che hanno fatto diventare una banda perché la vecchia guardia era evasa da Lanciano con il fratello di Rolando».
E Italo Ceci? «Ceci pure faceva parte della vecchia guardia. Poi ha raccontato i fatti e alla fine l’hanno ammazzato. Ma non guardate al passato. Io sapevo dove stava, ma non l’ho mai calcolato. Della vecchia guardia non c’entra nessuno. Non lo so per certo, non l’ho chiesto in giro perché queste cose non si chiedono, tu sai il mio e io so il tuo. Uno si capisce con uno sguardo».
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