Pescara, la procura si arrende: nessun responsabile per la scomparsa di Donatella Grosso

Ragazza scomparsa nel 1996, sesta richiesta d’archiviazione. Anche l’ultimo test del Dna ha scagionato il fidanzato

PESCARA. Non c’è tomba dove piangere Donatella Grosso, inghiottita dalla notte del 27 luglio 1996 dopo essere stata vista allontanarsi a bordo dell’auto del fidanzato da Francavilla a Pescara. Non c’è tomba e forse non ci sarà mai. All’orizzonte del giallo sulla scomparsa della trentenne laureata in Lingue alla D’Annunzio, s’intravede solo l’oblio. La richiesta di archiviazione - la terza in 24 mesi, la sesta in 18 anni - firmata dalla procura è la resa di una giustizia che non ha risposte, che nella rituale formula con cui sollecita la chiusura del fascicolo, certifica di fatto l’impossibilità di acquietare il cuore in tumulto dei due anziani genitori della ragazza, àncore ultime per tenere in vita un mistero che altrimenti sarebbe sotterrato da tempo.

La cronaca registra l’ennesima puntata di una rappresentazione che da due anni mette in scena lo stesso copione. Una sorta di ping-pong a tre: il pm - senza il cadavere della trentenne - sbarra la porta a ipotesi di processo, i genitori di Donatella sollecitano nuovi accertamenti, il gip riapre uno spiraglio, la procura esegue ma riabbassa la saracinesca, i genitori chiedono altri test, il gip acconsente, il magistrato obbedisce ma richiude tutto.

Mario e Tina Grosso, 83 e 81 anni, hanno ancora la possibilità di opporsi alla richiesta di archiviazione. Ma servono elementi nuovi e, in mancanza di improbabili ribaltoni esterni, le carte da calare per convincere il gip a tenere ancora accesi i riflettori sono scarse. La sensazione è che siamo davvero al capolinea.

L’ultima chance, un test del Dna su abiti femminili ormai ridotti a stracci trovati in un terreno a Casacanditella di proprietà dell’allora fidanzato di lei, indagato per omicidio volontario e occultamento di cadavere e ora destinato a uscire di scena, ha dato esito negativo. Il 31 maggio 2011 la polizia scientifica aveva trovato una calzamaglia, un foulard nero a fantasia, una cuffietta di tipo igienico di colore verde e una scarpa da donna di tessuto a un metro e mezzo di profondità. Erano di Donatella, uccisa perché diventata “ingombrante” nella doppia relazione che il ragazzo, oggi portava avanti? Neppure i genitori avevano riconosciuto quei vestiti come appartenenti alla figlia e le analisi di laboratorio lo hanno confermato.

Si sfilaccia così l’ultimo brandello di indagine ancora in piedi per disposizione del gip, che per due volte ha dato ascolto alla difesa dei Grosso, oggi rappresentati dall’avvocato Giacomo Frazzitta, riaprendo il caso. Improbabile che accada una terza volta.

Restano appesi mille dubbi, irrisolti per la fatale sottovalutazione dei fatti quando Chieti avviò le prime, blande, indagini 18 anni fa. Se la storia è sopravvissuta fino a oggi, cambiando l’intestazione del fascicolo da “allontanamento volontario” a “omicidio” è solo per la tenacia della Mobile pescarese e lo spirito mai sopito dei legali e dei genitori della trentenne, che continuano a vagare per l’Italia passando da una rete tv all’altra - a volte mortificati da interventi che durano una manciata di secondi - per lanciare Sos che nessuno raccoglie. Dopo l’appello al presidente Napolitano, dopo i manifesti con il volto di Donatella a tappezzare le strade di Pescara e Francavilla, dopo le promesse di ricompense attirasciacalli ogni anno più consistenti, dopo la lettera al Papa a fine 2013, per Mario e Tina la caccia ai resti di un corpo a cui dare una sepoltura per posare un fiore viene frustrata una volta di più. A due genitori da 18 anni in attesa di una verità, la giustizia non sa fornire alcun “perché”. E alza una bandiera bianca che sa tanto di sconfitta.

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