Pescara: si scava nel porto canale, ma restano le incognite
Domani comincia la prima fase dei lavori, ma il vero dragaggio è lontano. I pescatori sono scettici: «Troppi dubbi sulla sicurezza, vogliamo le garanzie»
I 25 mila metri cubi di materiali che ostruiscono l’imbocco del porto canale saranno spostati e ammassati ai lati dei due moli guardiani e del molo di levante per permettere l’uscita al largo delle imbarcazioni. L’intervento non è un dragaggio in senso stretto, ma una «movimentazione dei sedimenti in ambiente marino sommerso», così come si legge sull’ordinanza della Direzione marittima che è stata emanata nella tarda serata di venerdì. I lavori partiranno domani mattina, quando il mezzo “Fioravante” della ditta romana Sidra comincerà a scavare a ridosso dell’avamporto, e andranno avanti per tre settimane. Ma guai a cantare vittoria e a compiacersi per la fine dell’incubo del porto insabbiato, poiché i nodi da sciogliere sono ancora tanti. Scorrendo le planimetrie dello scalo e osservando i dati sulla profondità e sul tasso di inquinamento assieme ai marinai che hanno trascorso una vita intera a osservare i giochi delle correnti e a calcolare il livello dell’acqua che si è abbassato anno dopo anno, ci si rende conto che questa prima fase rappresenta soltanto una piccola goccia rispetto a un intervento di dragaggio e smaltimento integrale (200 mila metri cubi da prelevare dalla darsena commerciale e dalla parte restante del bacino fluviale) di cui non si conoscono ancora tempi e dettagli tecnici.
Le perplessità dei pescatori. Uno studio dell’università D’Annunzio snocciolato da Mimmo Grosso, rappresentante dell’associazione Armatori, mostra che ogni anno il fiume Pescara trasporta a valle 1 milione di tonnellate di detriti che si vanno ad accumulare a ridosso dell’avamporto, dove c’è il tappo della diga foranea. «Quanto potrebbe durare l’apertura di un varco che avrebbe una larghezza di 30/40 metri?», si chiedono i marinai riuniti ieri mattina nella sede dell’associazione, a due passi dal mercato ittico. «I 25 mila metri cubi da spostare ai lati del canale di transito», dicono, «rappresenterebbero un fattore positivo, ma solo se subito dopo si inizia a scavare e mettere in sicurezza l’intero avamporto. Altrimenti questa operazione non ha senso, perché con le prime avvisaglie di maltempo ci ritroveremo al punto di partenza». A spiegare i rischi che si corrono a prolungare ulteriormente i tempi del dragaggio vero e proprio è Nino Gasparroni, uno dei lupi di mare più esperti: «Le 51 barche al momento sono ormeggiate alla banchina nord nella secca, su un letto di fango. Scariche di attrezzature e gasolio, le imbarcazioni hanno un pescaggio che va dai 2 metri e 20 di Azita ai 3 metri e 60 di Nausica. Una volta liberato l’imbocco dell’avamporto avrebbero difficoltà sia a spostarsi dal canale e sia a rientrare». Secondo Gasparroni, non è plausibile ormeggiare all’altezza del ponte del Mare o al molo di levante «poiché quando c’è un minimo di vento», spiega, «i pescherecci diventano ingovernabili, nonostante vengano legati per bene. Ci sarebbero problemi di sicurezza: così si mettono a repentaglio le attrezzature, ma soprattutto i nostri dipendenti».
I risarcimenti. Per tutti questi motivi i marinai, prima di acconsentire a riprendere il largo per la pesca, chiedono allo Stato una serie di garanzie. «Ci devono dare la certezza», rimarca Mimmo Grosso a nome di tutti gli iscritti all’associazione Armatori, «che una volta terminato il varco si inizi a scavare il canale fluviale. Inoltre il Provveditorato ci deve assicurare il risarcimento economico qualora si dovesse rompere un’elica o il motore durante le manovre di entrata e di uscita oppure se dovesse farsi male un marinaio. Solo in questi casi sposteremo le barche dalla banchina».
Le analisi. L’esasperazione dei marinai è sintetizzata in una scritta emblematica realizzata con lo spray rosso sulle pareti esterne del mercato ittico chiuso: “Ardetc lu fium”, ridateci il fiume. In attesa che passino i trenta giorni di tempo necessari per ricevere i documenti ufficiali dell’aggiudicazione provvisoria e definitiva dei lavori di dragaggio, il contratto stipulato con la Sidra e il verbale di consegna dei lavori (la richiesta di accesso agli atti è stata protocollata giovedì scorso), la marineria conferma che effettuerà analisi in proprio mercoledì mattina. «In accordo con la Capitaneria», sottolinea Grosso, «quattro di noi s’immergeranno nell’avamporto per misurare con i nostri strumenti la profondità del livello dell’acqua. Poi, una volta ricevuti tutti i documenti, li esamineremo e valuteremo se ci siano gli estremi per presentare una denuncia alla Procura e un ricorso alla Corte dei conti. E non è escluso un nuovo blocco dell’Asse attrezzato».
Contemporaneamente, in concomitanza con l’inizio dei lavori di scavo, domani mattina Grosso chiederà formalmente alla Regione se sia stata presentata dalla Sidra la richiesta per installare la struttura di ‘soil washing’ che serve a separare i fanghi puliti da quelli inquinati.
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