Picciano, lite nel Pd per le liste

Castricone attacca Di Matteo e De Castro. Ma la partita è regionale

PESCARA. Il caso Picciano agita il Pd. Ma non per l'improbabile espulsione dal partito dell'europarlamentare Paolo De Castro e dell'ex assessore regionale Donato Di Matteo, come ha chiesto il coordinatore del circolo democratico piccianese alla commissione di garanzia. La partita che si sta giocando a Picciano, si ragiona nel Pd, può essere invece la miccia che può accendere le polveri della partita delle elezioni regionali. Per riepilogare.

Il Pd di Picciano si è molto irritato del fatto che il prodiano De Castro, invitato da Di Matteo, di cui è amico, abbia presentato qualche giorno fa Vincenzo Catani, il candidato sindaco di una lista concorrente a quella del Pd. A Di Matteo il Pd piccianese rimprovera invece di giocare una doppia e tripla partita reclutando anche esponenti di centrodestra («ma lo fanno a titolo personale», ha subito avvertito il presidente provinciale del Pdl Lorenzo Sospiri). Netta è stata la censura del segretario provinciale di Pescara Antonio Castricone: «E' gravissimo che un europarlamentare del Pd, pur informato, sia stato presente a una iniziativa di una lista di tutt'altra ispirazione in un luogo dove il circolo locale del Pd ha presentato sua lista».

Altrettanto netta la difesa di Di Matteo da parte del segretario aggiunto del Pd di Pescara Antonio Di Marco: «Volevano imporci il candidato con metodi da Soviet supremo. Catani è stato sempre un democratico ed è normale in un piccolo comune presentare liste che raccolgono candidati di diverse esperienze politiche».La verità è che a Picciano, come a Vasto qualche settimana fa (con un lungo conflitto intestino sanato da un commissariamento e da primarie molto partecipate) e come in altre realtà della regione, il Pd fatica a trovare una unità che non sia solo di facciata. A Picciano il Pd è spaccato: c'è un partito ufficiale con una manciata di iscritti e un partito che oggi sta fuori dal partito e che appare più forte, anche perché può giocare con più autonomia sul tavolo delle alleanze.

E c'è un Di Matteo, elettoralmente molto saldo nel territorio, che sta decidendo di tornare in partita dopo due anni di purgatorio imposto dall'inchiesta su Bussi (dalla quale è uscito). Un purgatorio iniziato alle regionali del 2008 quando fu invitato dall'allora segretario regionale Luciano D'Alfonso a non partecipare per il veto di Idv e Rifondazione; continuato con le Provinciali del 2009, quando la sua candidatura (doveva essere il vice della candidata del centrosinistra Antonella Allegrino) fu di nuovo stoppata dai dipietristi nonostante il rammarico pubblico del commissario Pd Massimo Brutti che giurò «d'ora in poi mai più veti!».

Oggi Di Matteo è presidente di una sua associazione, Progetto Abruzzo che, probabilmente alle prossime regionali si trasformerà in una lista civica. Con lui ci sono esponenti del Pd (attivi o in sonno) come Marco Verticelli e Antonio Boschetti, che difficilmente potrebbero trovare posto nel partito guidato dal segretario Silvio Paolucci, deciso a imporre un profondo rinnovamento dei quadri dirigenti (e si sa che le candidature alla Regione sono il segnale per eccellenza del rinnovamento di un partito). Ma la lista extrapartito di Di Matteo potrebbe condizionare fortemente la scelta del candidato presidente del centrosinistra. Soprattutto se dovesse spuntarla un esponente Pd (molto interessati sono Giovanni Legnini e Camillo D'Alessandro). Per questo Di Matteo soffre oggi nel Pd di un dissenso pubblico inespresso, che però in privato si traduce spesso in consenso esplicito.

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