Pistola e celle telefoniche, in aula gli indizi che accusano Nobile 

Sfilano carabinieri e poliziotti: «I bossoli del delitto sparati dall’arma poi ritrovata in un anfratto» La rivelazione del medico legale Polidoro: «Un proiettile trapassò Cavallito e poi colpì anche Albi»

PESCARA. Testi importanti ieri davanti ai giudici della Corte d’Assise di Chieti chiamati a giudicare i tre presunti responsabili dell’omicidio dell’architetto pescarese Walter Albi e del gravissimo ferimento dell’ex calciatore Luca Cavallito. L’omicidio del bar del Parco dove il 1° agosto del 2022 un killer, individuato in Mimmo Nobile, su mandato del calabrese Natale Ursino e con l’aiuto del fiancheggiatore Maurizio Longo (in aula era assente soltanto Ursino), esplose otto colpi di pistola contro le due vittime che erano in attesa di incontrare proprio il calabrese (che invece in quel momento si trovava a Roma). L’inchiesta sull’omicidio lungo la strada parco, eseguita dalla squadra mobile, è stata coordinata dal procuratore di Pescara Giuseppe Bellelli e dal pm Andrea Di Giovanni.
L’INTUITO DEI CARABINIERI Sono stati sentiti due carabinieri che, in un certo senso, hanno dato la svolta alle indagini, permettendo il rinvenimento del nascondiglio dove vennero gettati il cellulare sottratto a Cavallito, alcune parti della pistola, la moto e il casco usato dal killer e le sue scarpe. Fu infatti una intuizione del maresciallo Fabrizio Schipa, coadiuvato dal collega Andrea Tassi, a fare la scoperta che diede un forte impulso alle indagini della polizia. Il giorno del delitto, il 1° agosto del 2022, proprio poche ore prima della sparatoria, in base ad una segnalazione, i carabinieri trovarono una moto e un casco (posti sotto sequestro) che probabilmente dovevano servire per l’omicidio. Ma nessuno mise in relazione quello strano ritrovamento con il delitto se non i due carabinieri. Schipa approfondì i verbali di sequestro e volle fare un sopralluogo, un mese dopo il delitto (il 31 agosto 2022), scoprendo la seconda moto, quella usata dal killer. Due giorni dopo, il ritrovamento nella fitta e inaccessibile vegetazione («lì non ci vai per caso, ci vanno le coppiette o chi deve nascondere qualcosa», ha detto un investigatore) degli altri preziosi reperti. Fra questi il castello di una pistola (stesso calibro usato per il delitto) e un caricatore con alcuni colpi. E ieri, il dirigente della polizia, Alfredo Luzi, ha spiegato alla Corte come hanno fatto per ricostruire l’arma nonostante i pezzi mancanti, per arrivare ad affermare che quella è la stessa arma usata dal killer e la stessa che Nobile e Longo portarono via alla guardia giurata rapinata due settimane prima nel Centro Agroalimentare di Cepagatti. «L’analisi», ha detto il teste, «ha evidenziato il livello maggiore di identità e quindi che tutti i bossoli esplosi da quell’arma sono identici a quelli trovati sul luogo del delitto»: un’analisi balistico-comparativa che ha permesso di affermare che quel castello della pistola apparteneva all’arma del delitto.
IL TELEFONINO DI NOBILE Interessante, dal punto di vista processuale, le dichiarazioni del teste Giuseppe Ciufici (investigatore della questura di Pescara) sulle celle telefoniche agganciate dal cellulare di Mimmo Nobile: passaggi che, secondo la difesa dell’imputato, potrebbero diventare un punto a favore del loro assistito. Il teste ha riferito che di solito Nobile lasciava il suo telefono a casa, ma al di là di questa supposizione, è il fatto tecnico che assume una importanza notevole: e cioè che all’ora del delitto (le 19.56) il telefono di Nobile era a casa sua. «La Wind», spiegano poi gli avvocati Massimo Galasso e Luigi Peluso che assistono Nobile, «fornisce riscontri puntuali della posizione effettiva a differenza degli altri gestori. E quindi il telefono di Nobile, e perché non lui, alle 19.53 era a casa e alle 20.04 in zona marina, alla festa di Sant’Andrea (che rappresenterebbe l’alibi di Nobile ndr). Per cui ogni altra conclusione, frutto di illazioni, confligge con i dati che sono tecnici e scientifici».
IL PROIETTILE Chiarissima la deposizione del medico legale Ildo Polidoro che effettuò l’autopsia sul corpo di Albi e seguì l’evolversi delle condizioni di Cavallito, fino a dare il suo placet per il primo interrogatorio in ospedale: quello durante il quale il sopravvissuto Cavallito, pur non potendo parlare per i colpi di pistola ricevuti in faccia, indicando le lettere dell’alfabeto fece il nome di Nobile come killer, per quelle parole che gli rivolse prima di colpirlo di nuovo: «Questo è per te e per gli infami come te». Polidoro, anche con l’ausilio delle immagini, ha spiegato la sequenza degli otto colpi sparati dal killer: quattro a Cavallito e cinque ad Albi: e questo perché un colpo avrebbe attraversato il corpo di Cavallito per poi andare a colpire Albi che era al suo fianco.
ALTEZZA CONTESTATA Qualche incongruenza è stata invece evidenziata dalla difesa di Nobile circa la ricostruzione dell’altezza del killer, fatta da un esperto che non utilizzò il casco sequestrato, ma un altro casco che falserebbe il range dell’altezza dello sparatore rilevata dal consulente in base alle riprese filmate della sparatoria (da 1,73 a 1,76). Sentito anche il maresciallo della finanza Riccardo Susini che ha ricostruito la fantomatica operazione finanziaria londinese di Albi per arrivare ad affermare che «dagli elementi riscontrati posso dire che Albi è stato vittima di una truffa». La prossima udienza del 18 luglio dovrà servire per concludere l’esame del capo della mobile Gianluca Di Frischia.
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