Porto, 3 milioni per scavare la darsena

Ampliato il progetto. Ieri al via le analisi dell’Arta. Ma gli operatori protestano: «Servono almeno 6,5 metri di profondità»

PESCARA. Il braccio meccanico della draga Fioravante nelle prossime settimane continuerà a tuffarsi nel porto di Pescara per rimuovere altri 100mila metri cubi di fanghi e detriti. I lavori, che si aggiungono ai 200mila già previsti nel bando di gara, consentiranno di portare la darsena commerciale a una profondità di 6 metri: un metro in più rispetto a quanto previsto dall’appalto iniziale vinto dalla ditta romana Sidra (Società italiana dragaggi). In questo modo si migliora l’agibilità dello scalo, oggi ridotto a un’enorme palude ricoperta da un tappeto di alghe verdi e puzzolenti.

Il nuovo intervento interesserà il ramo del porto commerciale dove un tempo attraccavano le navi per la Croazia, venendo così incontro alle pressanti richieste degli operatori ormai fermi al palo da oltre due anni. Per i lavori, il Provveditorato alle Opere pubbliche ha deciso di utilizzare il ribasso d’asta di 2 milioni e 860 mila euro. E, affinché ogni cosa proceda nel verso giusto, ieri mattina sono iniziate le caratterizzazioni, ossia le procedure di verifica della presenza di eventuali agenti inquinanti nei campioni di materiali prelevati dalle acque del porto. «Le analisi effettuate nei mesi scorsi», spiega Giovanni Damiani, direttore tecnico dell’Arta (Agenzia regionale per la tutela ambientale), «non si erano spinte a questa profondità, ma si erano fermate a 5 metri. Adesso, prima di continuare a scavare, c’è bisogno di conoscere con esattezza la composizione chimico-fisica dei materiali depositati. In via precauzionale, in seguito a un vertice con il direttore generale Mario Amicone e i rappresentanti del Provveditorato, è stato deciso di caratterizzare la darsena per altri due metri, arrivando quindi ad avere un quadro complessivo dei sedimenti fino a 7 metri di profondità. In questo modo, se dovessero arrivare nuove somme da investire per il dragaggio del porto commerciale di Pescara, avremmo già a disposizione il relativo piano di caratterizzazione».

La variante in corso d’opera è stata presentata durante un vertice a Roma da Donato Carlea, direttore generale del Provveditorato interregionale alle Opere pubbliche. Ma nonostante i buoni propositi, la modifica al progetto iniziale di dragaggio del porto di Pescara non incontra il favore dei titolari delle aziende che lavoravano sul molo sud e facevano perno sulla stazione marittima, un tempo brulicante di passeggeri e oggi ridotta a un contenitore in balìa della sporcizia e del degrado. «Avevamo chiesto che si scavassero almeno 6 metri e mezzo», sottolinea Giuseppe Ranalli, responsabile dell’azienda Archibugi Ranalli e presidente della sezione trasporti di Confindustria Chieti, «ogni anno il fiume Pescara trasporta a valle dai 50 ai 70mila metri cubi di detriti, quindi nel giro di un paio d’anni l’intervento attuale diventerebbe nullo. Invece, ampliando i lavori, potremmo avere la garanzia di un piano di rilancio spalmato su più annualità. A queste condizioni, infatti, è impossibile trovare navi commerciali che scelgono il porto di Pescara: non dobbiamo dimenticare che da due anni a questa parte non è più entrato un traghetto e non abbiamo potuto fatturare un solo euro». Il crollo del fatturato delle venti aziende che un tempo rimpolpavano l’indotto dello scalo ha buttato sul lastrico cento lavoratori tra piloti, ormeggiatori, rimorchiatori, spedizionieri, addetti alla dogana, alla sicurezza e ai servizi antincendio e antinquinamento, operatori commerciali e turistici. «È necessario l’intervento concreto delle istituzioni», rincara la dose Giuseppe Ranalli, «ma non a livello assistenziale: c’è bisogno che si faccia ripartire il porto commerciale ripristinando i collegamenti con l’altra sponda dell’Adriatico. Dal’inizio dell’emergenza dragaggio ad oggi, noi operatori non siamo stati aiutati per niente: i 300 mila euro che ci aveva promesso la Regione non sono ancora stati stanziati e non è stata preparata nemmeno la determina. Non sappiamo fino a quando si continuerà a scavare. Chiediamo invece tempi certi».

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