Preparavano la terza bomba, arrestati in tre
Il capo è Claudio Di Risio, un ex della banda Battestini. In fuga il quarto complice. Trifuoggi e Cecere: «Il quartiere non è stato abbandonato»
PESCARA. «Bisogna alzare il tiro, dobbiamo fargli male. Ricordati di comprare i chiodi». Preparava la terza bomba la banda che a luglio ha seminato il terrore a Rancitelli con le esplosioni per togliere ai rom il mercato della cocaina e mettere a tacere i residenti. A guidare il gruppo criminale emergente pronto a sfidare le famiglie che controllano lo spaccio della droga era Claudio Di Risio, 45 anni di Pescara, componente negli anni Ottanta della banda Battestini.
Oltre a Claudio Di Risio, in manette sono finiti suo fratello Aimo Di Risio di 50 anni e Italo Gaspari di 33, già arrestato due settimane fa a Montesilvano perchè sorpreso con 250 grammi di cocaina nascosti nella busta della spesa, mentre a casa aveva altri 72 grammi di cocaina e 94 petardi del tipo “raudi magnum”.
Claudio Di Risio e Gaspari erano agli arresti domiciliari. Viene ancora ricercato un quarto uomo - detto “il macellaio” o “l’accettaro” - che ieri mattina è stato cercato dagli agenti della squadra mobile in quattro abitazioni diverse, ma è riuscito a sfuggire alla cattura. I quattro sono accusati di detenzione e porto abusivo di materiale esplodente, esplosioni pericolose, incendio e devastazione.
Reati gravi, con prevista di 15 anni di carcere. Mentre continuano le ricerche del quarto uomo, domattina il gip Guido Campli e il pm Aldo Aceto, titolare dell’inchiesta, interrogheranno i fratelli Di Risio e Gaspari per la convalida dell’arresto. Tutti e tre sono difesi dall’avvocato di fiducia Carlo Di Mascio.
DROGA E BOMBE.
«Un pericoloso sodalizio criminale che voleva imporre il monopolio dello spaccio della cocaina e al tempo stesso intimidire le famiglie del quartiere per lanciare un messaggio preciso: con le forze dell’ordine non si deve parlare». E’ il capo della squadra mobile Nicola Zupo a spiegare le motivazioni degli attentati durante la conferenza stampa sugli arresti che si è svolta ieri mattina alla presenza del questore Stefano Cecere e del procuratore capo Nicola Trifuoggi.
«La banda era pronta al salto di qualità con la droga e con le bombe», ha detto. Con la droga (la cocaina) grazie a un «canale importante», un traffico indipendente dagli albanesi e dai rom che attualmente controllano lo spaccio a Pescara. E con le bombe, utilizzate sia «per bloccare l’attività degli avversari che per imporre l’omertà e il terrore tra i residenti del quartiere».
STRATEGIA DEL TERRORE. Capo della banda è Claudio Di Risio, che riuniva tutti in casa sua per impartire gli ordini e riusciva a gestire gli affari dagli arresti domiciliari. Il dirigente della Mobile ha messo in evidenza che i due attentati, avvenuti il 6 luglio in via Stradonetto e il 14 in via Lago di Capestrano, nel cuore di Rancitelli, servivano a far capire che a comandare era lui.
«Gli attentatori volevano che la gente avesse paura. Più volte, nelle intercettazioni telefoniche, Di Risio ha usato il termine “strategia del terrore”», ha detto Zupo. Da qui la spiegazione degli attentati. «La prima auto, la Renault Scenic di Roberto Martelli parcheggiata sotto la sua abitazione di via Stradonetto, è stata fatta esplodere per dare un segnale forte ad un possibile avversario di Di Risio», ha proseguito il capo della Mobile coadiuvato in conferenza dal commissario Mauro Sablone e dall’ispettore capo Nicola Sciolé, che hanno condotto le indagini.
«La seconda esplosione, quella avvenuta in via Lago di Capestrano e che ha distrutto la Fiat Punto della signora V.J., era finalizzata a far comprendere che nessuno doveva collaborare con la polizia. L’auto saltata in aria era infatti di una donna che nel 2005 ha testimoniato e convinto altri condomini a fare la stessa cosa contro uno spacciatore, che poi fu arrestato.
Quell’attentato», ha aggiunto Zupo «venne rivendicato con una telefonata anonima al 113. Volevano far ricadere la colpa sulle altre famiglie del quartiere dedite allo spaccio, ma per Di Risio e i suoi complici quella donna era un esempio da non seguire».
LE PRIME INDAGINI. «La notte della prima esplosione eravamo impegnati nel pedinamento di Italo Gaspari e del quarto ricercato», ha spiegato l’ispettore Sciolé. «I due erano da tempo sotto controllo e quella notte li seguivamo con un’auto civetta. Verso l’una e mezza li vediamo inforcare via Stradonetto. Eravamo a distanza per non farci scoprire, e quando abbiamo svoltato nella strada non li abbiamo più trovati. “Siamo stati seminati”, abbiamo pensato. Poco dopo è saltata in aria la Scenic. Abbiamo collegato i fatti e pensato che i due si fossero nascosti nel vicolo vicino all’abitazione di Martelli per preparare l’ordigno».
Dai sospetti si passa alle intercettazioni telefoniche e ambientali e ai pedinamenti. Intercettazioni difficilissime. Claudio Di Risio impone ai suoi uomini il continuo cambio dei cellulari. Di Risio è agli arresti domiciliari dopo due episodi di violenza. Ad aprile aveva sparato cinque colpi di pistola al suocero Aimo Morganti; l’8 agosto scorso, fuggito dai domiciliari, era stato arrestato dagli agenti della volante dopo un rocambolesco inseguimento.
Ora si capisce perchè, nonostante i gravi episodi e i suoi precedenti (con Massimo Ballone formava il gruppo di fuoco della banda Battestini), ad agosto Di Risio torna ai domiciliari. «E’ a casa che si svolgono gli incontri del suo clan», spiega Zupo.
IL FURTO NEL CIRCOLO. Il 5 agosto accade un imprevisto. Secondo gli investigatori, nel locale di via Stradonetto di proprietà di Di Risio, l’«Happy days», viene commesso un furto di droga. Per la banda si tratta della risposta degli “avversari” alle dimostrazioni del gruppo emergente. «Sia le intercettazioni che le mosse seguenti della banda dimostrano non solo il furto di droga, ma anche la preparazione di un terzo attentato, stavolta più devastante», continua Zupo.
La frase che ha accelerato i tempi dell’inchiesta, convincendo il gip Campli a firmare i quattro ordini di custodia cautelare, è questa: «Bisogna alzare il tiro, dobbiamo fargli male. Ricordati di andare al ferramenta, compra i chiodi», è la raccomandazione che Claudio Di Risio rivolge a Gaspari. «Non c’è stato tempo di scoprire chi fosse il destinatario della bomba, probabilmente preparata con la polvere pirica proveniente dai fuochi di artificio in vendita nel negozio di un familiare». E ieri è scattata la retata.
LO STATO C’E’. Il questore Cecere e il procuratore Trifuoggi hanno elogiato le indagini della Mobile e il grande impegno della Volante. «I due attentati hanno rappresentato un fatto gravissimo, il prefetto Lalli aveva chiesto il massimo impegno per concludere le indagini», ha sottolineato Cecere. «Più gravi sono i fatti che si verificano in città e più forte è la risposta delle istituzioni. Il quartiere 3 è una zona difficile a Pescara. I problemi ci sono, tanti e gravi. Ma questa zona non è stata dimenticata dallo Stato», ha ribadito Trifuoggi.
Oltre a Claudio Di Risio, in manette sono finiti suo fratello Aimo Di Risio di 50 anni e Italo Gaspari di 33, già arrestato due settimane fa a Montesilvano perchè sorpreso con 250 grammi di cocaina nascosti nella busta della spesa, mentre a casa aveva altri 72 grammi di cocaina e 94 petardi del tipo “raudi magnum”.
Claudio Di Risio e Gaspari erano agli arresti domiciliari. Viene ancora ricercato un quarto uomo - detto “il macellaio” o “l’accettaro” - che ieri mattina è stato cercato dagli agenti della squadra mobile in quattro abitazioni diverse, ma è riuscito a sfuggire alla cattura. I quattro sono accusati di detenzione e porto abusivo di materiale esplodente, esplosioni pericolose, incendio e devastazione.
Reati gravi, con prevista di 15 anni di carcere. Mentre continuano le ricerche del quarto uomo, domattina il gip Guido Campli e il pm Aldo Aceto, titolare dell’inchiesta, interrogheranno i fratelli Di Risio e Gaspari per la convalida dell’arresto. Tutti e tre sono difesi dall’avvocato di fiducia Carlo Di Mascio.
DROGA E BOMBE.
«Un pericoloso sodalizio criminale che voleva imporre il monopolio dello spaccio della cocaina e al tempo stesso intimidire le famiglie del quartiere per lanciare un messaggio preciso: con le forze dell’ordine non si deve parlare». E’ il capo della squadra mobile Nicola Zupo a spiegare le motivazioni degli attentati durante la conferenza stampa sugli arresti che si è svolta ieri mattina alla presenza del questore Stefano Cecere e del procuratore capo Nicola Trifuoggi.
«La banda era pronta al salto di qualità con la droga e con le bombe», ha detto. Con la droga (la cocaina) grazie a un «canale importante», un traffico indipendente dagli albanesi e dai rom che attualmente controllano lo spaccio a Pescara. E con le bombe, utilizzate sia «per bloccare l’attività degli avversari che per imporre l’omertà e il terrore tra i residenti del quartiere».
STRATEGIA DEL TERRORE. Capo della banda è Claudio Di Risio, che riuniva tutti in casa sua per impartire gli ordini e riusciva a gestire gli affari dagli arresti domiciliari. Il dirigente della Mobile ha messo in evidenza che i due attentati, avvenuti il 6 luglio in via Stradonetto e il 14 in via Lago di Capestrano, nel cuore di Rancitelli, servivano a far capire che a comandare era lui.
«Gli attentatori volevano che la gente avesse paura. Più volte, nelle intercettazioni telefoniche, Di Risio ha usato il termine “strategia del terrore”», ha detto Zupo. Da qui la spiegazione degli attentati. «La prima auto, la Renault Scenic di Roberto Martelli parcheggiata sotto la sua abitazione di via Stradonetto, è stata fatta esplodere per dare un segnale forte ad un possibile avversario di Di Risio», ha proseguito il capo della Mobile coadiuvato in conferenza dal commissario Mauro Sablone e dall’ispettore capo Nicola Sciolé, che hanno condotto le indagini.
«La seconda esplosione, quella avvenuta in via Lago di Capestrano e che ha distrutto la Fiat Punto della signora V.J., era finalizzata a far comprendere che nessuno doveva collaborare con la polizia. L’auto saltata in aria era infatti di una donna che nel 2005 ha testimoniato e convinto altri condomini a fare la stessa cosa contro uno spacciatore, che poi fu arrestato.
Quell’attentato», ha aggiunto Zupo «venne rivendicato con una telefonata anonima al 113. Volevano far ricadere la colpa sulle altre famiglie del quartiere dedite allo spaccio, ma per Di Risio e i suoi complici quella donna era un esempio da non seguire».
LE PRIME INDAGINI. «La notte della prima esplosione eravamo impegnati nel pedinamento di Italo Gaspari e del quarto ricercato», ha spiegato l’ispettore Sciolé. «I due erano da tempo sotto controllo e quella notte li seguivamo con un’auto civetta. Verso l’una e mezza li vediamo inforcare via Stradonetto. Eravamo a distanza per non farci scoprire, e quando abbiamo svoltato nella strada non li abbiamo più trovati. “Siamo stati seminati”, abbiamo pensato. Poco dopo è saltata in aria la Scenic. Abbiamo collegato i fatti e pensato che i due si fossero nascosti nel vicolo vicino all’abitazione di Martelli per preparare l’ordigno».
Dai sospetti si passa alle intercettazioni telefoniche e ambientali e ai pedinamenti. Intercettazioni difficilissime. Claudio Di Risio impone ai suoi uomini il continuo cambio dei cellulari. Di Risio è agli arresti domiciliari dopo due episodi di violenza. Ad aprile aveva sparato cinque colpi di pistola al suocero Aimo Morganti; l’8 agosto scorso, fuggito dai domiciliari, era stato arrestato dagli agenti della volante dopo un rocambolesco inseguimento.
Ora si capisce perchè, nonostante i gravi episodi e i suoi precedenti (con Massimo Ballone formava il gruppo di fuoco della banda Battestini), ad agosto Di Risio torna ai domiciliari. «E’ a casa che si svolgono gli incontri del suo clan», spiega Zupo.
IL FURTO NEL CIRCOLO. Il 5 agosto accade un imprevisto. Secondo gli investigatori, nel locale di via Stradonetto di proprietà di Di Risio, l’«Happy days», viene commesso un furto di droga. Per la banda si tratta della risposta degli “avversari” alle dimostrazioni del gruppo emergente. «Sia le intercettazioni che le mosse seguenti della banda dimostrano non solo il furto di droga, ma anche la preparazione di un terzo attentato, stavolta più devastante», continua Zupo.
La frase che ha accelerato i tempi dell’inchiesta, convincendo il gip Campli a firmare i quattro ordini di custodia cautelare, è questa: «Bisogna alzare il tiro, dobbiamo fargli male. Ricordati di andare al ferramenta, compra i chiodi», è la raccomandazione che Claudio Di Risio rivolge a Gaspari. «Non c’è stato tempo di scoprire chi fosse il destinatario della bomba, probabilmente preparata con la polvere pirica proveniente dai fuochi di artificio in vendita nel negozio di un familiare». E ieri è scattata la retata.
LO STATO C’E’. Il questore Cecere e il procuratore Trifuoggi hanno elogiato le indagini della Mobile e il grande impegno della Volante. «I due attentati hanno rappresentato un fatto gravissimo, il prefetto Lalli aveva chiesto il massimo impegno per concludere le indagini», ha sottolineato Cecere. «Più gravi sono i fatti che si verificano in città e più forte è la risposta delle istituzioni. Il quartiere 3 è una zona difficile a Pescara. I problemi ci sono, tanti e gravi. Ma questa zona non è stata dimenticata dallo Stato», ha ribadito Trifuoggi.