Primo Maggio speranza di giustizia
La sconfitta delle aspirazioni di uguaglianza interpellano a un impegno rinnovato per una più equa ridistribuzione della ricchezza sociale
Si rialzano oggi le bandiere del Primo Maggio. Non certo più quelle oceaniche di una volta, così bene evocate da Franco Marini nella intervista concessa al Centro. I vessilli gloriosi delle masse operaie che mobilitavano il paese e riempivano le piazze. La mitica forza modernizzatrice che gloriosamente avanzava verso lo splendido avvenire per liberare da tutte le catene le forze del lavoro. Sì, proprio quella magnifica epopea evocata da Pellizza da Volpedo nel suo Quarto Stato, con gli uomini e le donne sfruttati che irrompevano sulla scena determinati e che oggi vediamo piuttosto ripiegati e in ritirata come li immagina invece Manolita D’Antino. C’è da riflettere, comunque. E noi proviamo a farlo con i servizi preparati per la ricorrenza. Sottolineando che non c’è necessariamente da gioire per le involuzioni che stiamo conoscendo. E che di pari passo sembrano andare con quell’impazzimento che la distribuzione della ricchezza sta conoscendo. Recita l’ultimo rapporto Oxfam che otto uomini nel mondo posseggono da soli oltre 420 miliardi di dollari, le stesse risorse appartenenti alla metà più povera della popolazione della Terra, vale a dire oltre 3 miliardi e mezzo di individui. Con un corollario illuminante anche per l’Italia. Dove 7 miliardari vantano una quota di beni superiore a quella del 30 per cento più povero degli altri concittadini. Ecco, forse queste cifre spiegano le ragioni della disaffezione dei ceti che una volta si mobilitavano per il Primo Maggio e che ora preferiscono restare a casa. Cifre che certificano la sconfitta delle aspirazioni di uguaglianza, ma che interpellano a un impegno rinnovato per una più equa ridistribuzione della ricchezza sociale.
Primo Di Nicola