«Rigopiano era imprevedibile: politici scagionati, ora anche noi»
I condannati D’Incecco, ex dirigente provinciale, e Lacchetta, sindaco di Farindola, chiedono l’assoluzione «Il bollettino sulle condizioni meteo non era uno strumento di allarme e non prefigurava una valanga»
L’AQUILA. «L’ingegnere Paolo D’Incecco deve essere assolto per una ragione fondamentale: l’imprevedibilità dell'evento. Per il patrimonio di conoscenza che lui aveva non era prevedibile che si potesse verificare quell’evento drammatico». Lo dice l’avvocato Gianfranco Iadecola (uno dei difensori di D'Incecco) ai giudici della Corte d’Appello dell’Aquila che si stanno occupando del giudizio di secondo grado del processo per il disastro di Rigopiano dove, il 18 gennaio del 2017, persero la vita 29 persone rimaste sotto le macerie dell’hotel distrutto da una valanga.
D’Incecco, ex dirigente della Provincia, insieme al suo funzionario Mauro Di Blasio (la cui posizione è già stata discussa nella precedente udienza e che è sostanzialmente identica a quella del dirigente, in relazione al mancato monitoraggio della strada provinciale 8, al mancato reperimento di una turbina e alla mancata chiusura al traffico della strada stessa) ha ricevuto la condanna più pesante, 3 anni e 4 mesi, al termine del rito abbreviato tenuto a Pescara davanti al gup Gianluca Sarandrea che ha condannato 5 dei 30 imputati. E Iadecola, che lo assiste insieme al collega Marco Spagnuolo, nell’approfondire il tema centrale delle difese di ieri, e cioè quello dell’imprevedibilità dell’evento valanga, richiama ai giudici anche l’archiviazione dei politici inizialmente coinvolti nell’inchiesta. «Fu un evento che sorprese tutti», dice il legale, «come ha scritto anche la stessa procura che ha archiviato alcuni politici prima che iniziasse questo processo: “Nessuno poteva prefigurare un evento di tale gravità, una valanga in quella zona”. Ma quel principio», incalza Iadecola, «che è valso per l’archiviazione dei politici, che è valso per l’assoluzione di altre persone nel processo, doveva valere anche per noi perché noi, l’unico elemento che avevamo di conoscenza e di informazione, ci si dice, sarebbe stato il bollettino Meteomont che, guarda caso, alla Provincia non veniva spedito».
Scendendo nel tecnico, il legale spiega che «per condannare per responsabilità per colpa non basta aver violato una regola cautelare che impone un certo comportamento, occorre che, nel momento in cui l’imputato violava questa regola potesse prevedere che come conseguenza vi sarebbe stato un evento lesivo. Abbiamo sostenuto», conclude l’avvocato, «che D’Incecco, alla luce delle sue conoscenze, del fatto che la Provincia non aveva elaborato piani di emergenza, di previsione e di prevenzione, che aveva perduto le sue competenze di protezione civile, alla luce del fatto che non arrivava neppure il bollettino Meteomont, alla luce di tutto questo D’Incecco non era nelle condizioni di poter prefigurare che si sarebbe potuto verificare un evento di quel tipo».
Anche il collega Marco Spagnuolo, nel suo intervento, ha evidenziato questi aspetti, aggiungendo anche altre questioni come quella della turbina. «Chiediamo l’assoluzione», dice, «perché crediamo che l’imputazione obiettivamente non abbia retto: in realtà neppure alla pronuncia di primo grado, che è stata una parziale pronuncia di responsabilità, che ha comunque spazzato via tutti quei profili legati a presunte responsabilità che sono comunque assenti in capo all'ingegnere. Abbiamo concentrato il nostro appello anche sul tema fondamentale legato alla sostituzione di un mezzo sgombraneve che in realtà, ove anche sostituito, come risulta anche dalla perizia, non avrebbe avuto nessun effetto salvifico. Nessun tipo di intervento, con quella gravissima situazione meteo, avrebbe potuto consentire la liberazione di una strada (quell’unica via di accesso e di fuga dall’hotel ndr) che in sé assume valenza neutra anche perché l’isolamento non è l’evento. Un evento assolutamente fuori dalla portata e dalla conoscibilità, che purtroppo ha le caratteristiche dell’imprevedibilità. E quindi D’Incecco non aveva possibilità alcuna di valutare qualsiasi profilo di prevedibilità».
Ieri, oltre alle difese di D’Incecco, hanno parlato anche i difensori del sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, assolto dalle altre accuse che gli venivano contestate, ma condannato a 2 anni e 8 mesi di reclusione per non aver disposto lo sgombro dell'hotel. «Abbiamo chiesto l’assoluzione», dice l’avvocatessa Cristiana Valentini, perché nella maniera più assoluta il bollettino Meteomont, l’unica cosa per la quale Lacchetta è stato condannato, non poteva essere uno strumento di allarme né di previsione. Ma abbiamo chiesto anche che venga dichiarata l’inammissibilità dell’appello del pm perché è carente delle caratteristiche che per legge dovrebbe avere l’appello del pubblico ministero».
Il collegio presieduto da Aldo Manfredi ha poi sciolto la riserva sulle nuove prove che la difesa aveva chiesto di depositare, nonostante l’opposizione della pubblica accusa sostenuta dai pm Anna Benigni e Andrea Papalia. «Sono state accolte al 90 per cento», prosegue il legale, «e per noi risultano molto utili per chiarire ulteriormente la posizione del sindaco. Quella di primo grado», aggiunge Valentini, «è una sentenza meritoria che solo per una piccola parte aveva questa macchia che abbiamo cercato di correggere mediante la produzione di queste nuove prove. Una sentenza che comunque ha contribuito a sgombrare il campo da tantissimi equivoci che erano durati anni a causa di una impostazione investigativa rovesciata, secondo quella che è la tecnica che dovrebbe accogliere tutte le indagini sul sistema di protezione civile nazionale e locale». Le nuove prove serviranno per dimostrare che il bollettino Meteomont da solo «non sarebbe valso a creare alcun allarme», conclude l’avvocatessa, «le nuove prove sono uno studio di quasi vent’anni della commissione valanghe dell’Aquila, che in Abruzzo è molto attenta a questo profilo valanghivo. Mai nessuno ha emesso una ordinanza di sgombro o chiusura sulla base di un bollettino Meteomont: occorre la storicizzazione di una valanga oppure una cartografia che nello specifico mancava».
Si torna in aula il 10 gennaio con le difese degli imputati appellati Pierluigi Caputi, Sabatino Belmaggio e Vincenzo Antenucci.
D’Incecco, ex dirigente della Provincia, insieme al suo funzionario Mauro Di Blasio (la cui posizione è già stata discussa nella precedente udienza e che è sostanzialmente identica a quella del dirigente, in relazione al mancato monitoraggio della strada provinciale 8, al mancato reperimento di una turbina e alla mancata chiusura al traffico della strada stessa) ha ricevuto la condanna più pesante, 3 anni e 4 mesi, al termine del rito abbreviato tenuto a Pescara davanti al gup Gianluca Sarandrea che ha condannato 5 dei 30 imputati. E Iadecola, che lo assiste insieme al collega Marco Spagnuolo, nell’approfondire il tema centrale delle difese di ieri, e cioè quello dell’imprevedibilità dell’evento valanga, richiama ai giudici anche l’archiviazione dei politici inizialmente coinvolti nell’inchiesta. «Fu un evento che sorprese tutti», dice il legale, «come ha scritto anche la stessa procura che ha archiviato alcuni politici prima che iniziasse questo processo: “Nessuno poteva prefigurare un evento di tale gravità, una valanga in quella zona”. Ma quel principio», incalza Iadecola, «che è valso per l’archiviazione dei politici, che è valso per l’assoluzione di altre persone nel processo, doveva valere anche per noi perché noi, l’unico elemento che avevamo di conoscenza e di informazione, ci si dice, sarebbe stato il bollettino Meteomont che, guarda caso, alla Provincia non veniva spedito».
Scendendo nel tecnico, il legale spiega che «per condannare per responsabilità per colpa non basta aver violato una regola cautelare che impone un certo comportamento, occorre che, nel momento in cui l’imputato violava questa regola potesse prevedere che come conseguenza vi sarebbe stato un evento lesivo. Abbiamo sostenuto», conclude l’avvocato, «che D’Incecco, alla luce delle sue conoscenze, del fatto che la Provincia non aveva elaborato piani di emergenza, di previsione e di prevenzione, che aveva perduto le sue competenze di protezione civile, alla luce del fatto che non arrivava neppure il bollettino Meteomont, alla luce di tutto questo D’Incecco non era nelle condizioni di poter prefigurare che si sarebbe potuto verificare un evento di quel tipo».
Anche il collega Marco Spagnuolo, nel suo intervento, ha evidenziato questi aspetti, aggiungendo anche altre questioni come quella della turbina. «Chiediamo l’assoluzione», dice, «perché crediamo che l’imputazione obiettivamente non abbia retto: in realtà neppure alla pronuncia di primo grado, che è stata una parziale pronuncia di responsabilità, che ha comunque spazzato via tutti quei profili legati a presunte responsabilità che sono comunque assenti in capo all'ingegnere. Abbiamo concentrato il nostro appello anche sul tema fondamentale legato alla sostituzione di un mezzo sgombraneve che in realtà, ove anche sostituito, come risulta anche dalla perizia, non avrebbe avuto nessun effetto salvifico. Nessun tipo di intervento, con quella gravissima situazione meteo, avrebbe potuto consentire la liberazione di una strada (quell’unica via di accesso e di fuga dall’hotel ndr) che in sé assume valenza neutra anche perché l’isolamento non è l’evento. Un evento assolutamente fuori dalla portata e dalla conoscibilità, che purtroppo ha le caratteristiche dell’imprevedibilità. E quindi D’Incecco non aveva possibilità alcuna di valutare qualsiasi profilo di prevedibilità».
Ieri, oltre alle difese di D’Incecco, hanno parlato anche i difensori del sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, assolto dalle altre accuse che gli venivano contestate, ma condannato a 2 anni e 8 mesi di reclusione per non aver disposto lo sgombro dell'hotel. «Abbiamo chiesto l’assoluzione», dice l’avvocatessa Cristiana Valentini, perché nella maniera più assoluta il bollettino Meteomont, l’unica cosa per la quale Lacchetta è stato condannato, non poteva essere uno strumento di allarme né di previsione. Ma abbiamo chiesto anche che venga dichiarata l’inammissibilità dell’appello del pm perché è carente delle caratteristiche che per legge dovrebbe avere l’appello del pubblico ministero».
Il collegio presieduto da Aldo Manfredi ha poi sciolto la riserva sulle nuove prove che la difesa aveva chiesto di depositare, nonostante l’opposizione della pubblica accusa sostenuta dai pm Anna Benigni e Andrea Papalia. «Sono state accolte al 90 per cento», prosegue il legale, «e per noi risultano molto utili per chiarire ulteriormente la posizione del sindaco. Quella di primo grado», aggiunge Valentini, «è una sentenza meritoria che solo per una piccola parte aveva questa macchia che abbiamo cercato di correggere mediante la produzione di queste nuove prove. Una sentenza che comunque ha contribuito a sgombrare il campo da tantissimi equivoci che erano durati anni a causa di una impostazione investigativa rovesciata, secondo quella che è la tecnica che dovrebbe accogliere tutte le indagini sul sistema di protezione civile nazionale e locale». Le nuove prove serviranno per dimostrare che il bollettino Meteomont da solo «non sarebbe valso a creare alcun allarme», conclude l’avvocatessa, «le nuove prove sono uno studio di quasi vent’anni della commissione valanghe dell’Aquila, che in Abruzzo è molto attenta a questo profilo valanghivo. Mai nessuno ha emesso una ordinanza di sgombro o chiusura sulla base di un bollettino Meteomont: occorre la storicizzazione di una valanga oppure una cartografia che nello specifico mancava».
Si torna in aula il 10 gennaio con le difese degli imputati appellati Pierluigi Caputi, Sabatino Belmaggio e Vincenzo Antenucci.