Rigopiano, i parenti delle vittime «Una sentenza da Paese civile»
Appello delle famiglie dopo la requisitoria dell’accusa e le richieste di condanna per i 30 imputati «Agli italiani vanno restituiti l’orgoglio e la consapevolezza di vivere dove si punisce chi sbaglia»
PESARA. Quasi sei anni di dolore, quasi sei anni di battaglie e attese e, finalmente il primo riconoscimento: sentire scandito dal pm, nell’aula del processo, il nome di ognuno dei propri cari, vederne la foto e assistere così al riconoscimento pubblico “delle 29 vittime di Rigopiano”.
È stato qualcosa vicino alla gioia, come ha detto il sopravvissuto Giampaolo Matrone presente alle tre udienze della settimana appena trascorsa, il sentimento provato per la prima volta in tutto questo tempo dalle madri e dai padri, dai figli e dai fratelli di quei morti prigionieri nell’hotel bloccato dalla neve e distrutto dalla valanga. E adesso che la parte del processo che più aspettavano, quella della richiesta delle condanne per i 30 imputati, si è appena conclusa, in attesa delle prossime udienze di dicembre che traghetteranno il processo alla sentenza attesa per il 17 febbraio, il Comitato familiari delle vittime ha preso carta e penna e ha scritto. Per ringraziare i magistrati che sostengono l’accusa, ma anche e soprattutto per spiegare che cosa si aspettano adesso e perché.
«Abbiamo assistito a tre udienze importantissime», dicono subito, «tre giorni consecutivi in aula, finalizzati al raggiungimento della tanto attesa sentenza di primo grado. In primis, un sentito ringraziamento ai procuratori Benigni, Papalia e al procuratore capo Bellelli per il grande lavoro svolto con scrupolosità, a seguito delle indagini investigative dei carabinieri forestali incaricati. Le toccanti requisitorie dei pubblici ministeri, illustrate in modo preciso e dettagliato, hanno confermato tutto ciò che noi familiari sosteniamo da quasi 6 anni: la tragedia di Rigopiano si poteva e si doveva evitare». E non si stancano di ripetere: «Sarebbe bastato che le persone preposte avessero semplicemente fatto il proprio dovere, niente di più».
Di qui, il loro desiderio di giustizia, che arde sempre più forte da quel 18 gennaio 2017. E infatti scrivono: «Al termine delle requisitorie abbiamo appreso le richieste di condanna e di assoluzione per gli imputati formulate dai procuratori: più di 150 anni di condanne totali. Richieste di condanna, a nostro avviso, adeguate e giuste, anche se diminuite dal rito abbreviato; richieste di condanna che non ci fanno gioire, perché nessuno di noi chiede vendetta, ma che ci fanno credere nella giustizia; richieste di condanna che, se confermate o rafforzate nella sentenza di primo grado e nei gradi di giudizio successivi, servirebbero a dare pace e dignità ai nostri 29 angeli abbandonati a Rigopiano ad aspettare la morte, privati della loro libertà di scelta, perché intrappolati come topi con l’unica via di fuga bloccata da tre metri di neve, inascoltati nelle loro disperate richieste di soccorso, prima e dopo la sciagura».
Quindi l’auspicio, e un’unica drammatica certezza: «Una sentenza di condanna che aiuterebbe noi familiari a ritrovare un po' di serenità e ad affrontare il nostro ergastolo del dolore, nella consapevolezza di aver dato giustizia ai nostri cari. Una sentenza di condanna che restituirebbe a tutti gli italiani la consapevolezza e l'orgoglio di vivere in un Paese civile, capace di difendere chi subisce un gravissimo danno e di punire chi sbaglia». (s.d.l.)
È stato qualcosa vicino alla gioia, come ha detto il sopravvissuto Giampaolo Matrone presente alle tre udienze della settimana appena trascorsa, il sentimento provato per la prima volta in tutto questo tempo dalle madri e dai padri, dai figli e dai fratelli di quei morti prigionieri nell’hotel bloccato dalla neve e distrutto dalla valanga. E adesso che la parte del processo che più aspettavano, quella della richiesta delle condanne per i 30 imputati, si è appena conclusa, in attesa delle prossime udienze di dicembre che traghetteranno il processo alla sentenza attesa per il 17 febbraio, il Comitato familiari delle vittime ha preso carta e penna e ha scritto. Per ringraziare i magistrati che sostengono l’accusa, ma anche e soprattutto per spiegare che cosa si aspettano adesso e perché.
«Abbiamo assistito a tre udienze importantissime», dicono subito, «tre giorni consecutivi in aula, finalizzati al raggiungimento della tanto attesa sentenza di primo grado. In primis, un sentito ringraziamento ai procuratori Benigni, Papalia e al procuratore capo Bellelli per il grande lavoro svolto con scrupolosità, a seguito delle indagini investigative dei carabinieri forestali incaricati. Le toccanti requisitorie dei pubblici ministeri, illustrate in modo preciso e dettagliato, hanno confermato tutto ciò che noi familiari sosteniamo da quasi 6 anni: la tragedia di Rigopiano si poteva e si doveva evitare». E non si stancano di ripetere: «Sarebbe bastato che le persone preposte avessero semplicemente fatto il proprio dovere, niente di più».
Di qui, il loro desiderio di giustizia, che arde sempre più forte da quel 18 gennaio 2017. E infatti scrivono: «Al termine delle requisitorie abbiamo appreso le richieste di condanna e di assoluzione per gli imputati formulate dai procuratori: più di 150 anni di condanne totali. Richieste di condanna, a nostro avviso, adeguate e giuste, anche se diminuite dal rito abbreviato; richieste di condanna che non ci fanno gioire, perché nessuno di noi chiede vendetta, ma che ci fanno credere nella giustizia; richieste di condanna che, se confermate o rafforzate nella sentenza di primo grado e nei gradi di giudizio successivi, servirebbero a dare pace e dignità ai nostri 29 angeli abbandonati a Rigopiano ad aspettare la morte, privati della loro libertà di scelta, perché intrappolati come topi con l’unica via di fuga bloccata da tre metri di neve, inascoltati nelle loro disperate richieste di soccorso, prima e dopo la sciagura».
Quindi l’auspicio, e un’unica drammatica certezza: «Una sentenza di condanna che aiuterebbe noi familiari a ritrovare un po' di serenità e ad affrontare il nostro ergastolo del dolore, nella consapevolezza di aver dato giustizia ai nostri cari. Una sentenza di condanna che restituirebbe a tutti gli italiani la consapevolezza e l'orgoglio di vivere in un Paese civile, capace di difendere chi subisce un gravissimo danno e di punire chi sbaglia». (s.d.l.)