«Ritiravo e consegnavo tangenti di altre ditte»

Le confessioni dell’imprenditore D’Alessandro aprono nuovi fronti di indagine Caccia alle imprese che hanno avuto commesse dall’Aca e dall’Ater

PESCARA. È nata come un’indagine di provincia sui lavori ai lampioni di Cepagatti, poi, come una bomba, è esplosa trascinando nell’ultima bufera giudiziaria abruzzese gli appalti delle fogne dell’Aca di Pescara, delle case popolari dell’Ater di Chieti, una scuola del Comune di Montesilvano e addirittura edifici dell’Esercito italiano. E adesso l’inchiesta della squadra mobile e della forestale di Pescara – che martedì è sfociata in 6 arresti e altri 7 indagati e che ha portato alla scoperta di un presunto «protocollo standard» per truccare le gare d’appalto – potrebbe allargarsi ancora. Sì perché l’imprenditore aquilano Claudio D’Alessandro, indagato e già arrestato il 4 dicembre 2012 nel primo filone d’inchiesta, racconta di aver pagato non soltanto 170 mila euro di tangenti ma anche di aver raccolto e smistato le mazzette di altri imprenditori.

Cinque confessioni. Ascoltato 5 volte dal pm Anna Rita Mantini, D’Alessandro parla di un’altra tangente da 15 mila euro appuntata in un file del suo computer finito sotto sequestro: «Con riferimento all’indicazione manutenzione ordinaria per 290 mila euro -15 mila euro la voce si riferisce a somme che io riscuotevo da terze ditte, tramite Alessandro Faraone o Marasco, per lavori svolti da un’altra impresa che gestiva lavori appaltati dall’Ater e costretta a pagare come». L’imprenditore continua: «Mi spiego meglio. In diverse occasioni effettuavo dei ritiri di tangenti che mi chiedeva di fare Lancia. Il presidente, infatti, mi diceva: chiedi a Faraone che si deve far dare il 5 per cento dell’importo dei lavori aggiudicati alla ditta di cui non ricordo il nome che svolge la manutenzione ordinaria nella zona di Francavilla Ortona».

«Altre gare truccate». La sintesi degli inquirenti è questa: «Si trattava di emolumenti erogati da altre ditte appaltatrici dell’Ater che egli non individuava se non per relazionem, ovvero come quelle imprese che si erano aggiudicate presumibilmente mediante turbativa di gara i concorsi per i lavori di manutenzione ordinaria da esplicarsi sulle palazzine Ater ubicate nella zona Francavilla e Ortona».

Indagini su altra imprese. La nuova fase dell’inchiesta – il giorno dopo gli arresti ai domiciliari del presidente Aca di Pescara Ezio Di Cristoforo, dell’amministratore unico dell’Ater di Chieti Marcello Lancia, del dirigente Ater Ernesto Marasco e del geometra Alessandro Faraone, del tenente colonnello dell’Esercito William Basciano in servizio a Pescara e del geometra del Comune di Montesilvano Salvatore Tasso – è rivolta a cercare di capire quali sono le altre imprese che potrebbero aver pagato tangenti per assicurarsi appalti nella pubblica amministrazione. Secondo l’accusa, D’Alessandro ha confezionato e consegnato agli amministratori arrestati le liste delle imprese invitate alle gare d’appalto da addomesticare, ditte che poi si facevano da parte per favorire la Edilpescara. Per questo, gli inquirenti vogliono capire quale è stato il tornaconto delle altre imprese che partecipavano alle gare d’appalto truccate.

Imprese e prestanomi. Sulle dichiarazioni di D’Alessandro, il giudice per le indagini preliminari Luca De Ninis, che ha firmato l’ordinanza di arresto, invita a una nuova fase di indagini: «Le indagini», scrive, «devono proseguire per verificare la partecipazione di altre imprese ai patti per il condizionamento delle gare e la natura dei reciproci rapporti; le ragioni per le quali i prestanomi già individuati si siano prestati a fungere da schermo per i D’Alessandro pure essendo evidenti le finalità oscure e illecite dell’interposizione fittizia;il complessivo ambito operativo della turbative delle gare gestite dagli indagati, anche con riferimento a soggetti diversi dagli imprenditori odierni indagati».

«Cartelli di imprese». Nell’ordinanza di arresto, si parla di «cartelli di imprese»: «Rimarchevole sul punto è soprattutto il dato della omogeneità delle modalità di turbativa delle gare, attraverso la predisposizione di cartelli di imprese disponibili a simulare una concorrenza inesistente, con totale aggiramento della procedura di evidenza pubblica: dato eclatante perché relativo ad amministrazioni dei quali, almeno sotto il profilo funzionale e salvi eventuali affinità di natura politica, risultano del tutto prive di reciproci collegamenti. Si prospetta così», continua il gip, «una chiave di lettura particolarmente inquietante, quella dell'esistenza di un protocollo operativo con modalità standard, non solo diffuso ma addirittura generalizzato».

«Altri imprenditori». Infatti gli arresti di martedì sono scattati perché, secondo l’ipotesi degli inquirenti, gli amministratori pubblici, senza misure cautelari, avrebbero «proseguito a gestire le proprie funzioni pubbliche con le medesime modalità e i medesimi obiettivi anche con imprenditori diversi da D’Alessandro, certamente individuabili senza difficoltà nell’ampia platea dei soggetti aggregati da collaborazioni, come si è visto regolarmente disponibili a partecipare all’aggiustamento della gare con procedura negoziata, o anche in altri ambiti: si è visto infatti che alcune liste di imprese compiacenti sono state integrate, aggiungendoli al novero di quelle legate da rapporti personali con D’Alessandro, dagli stessi pubblici ufficiali di riferimento».

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