Roma, la pittura di un impero

Miti e vita quotidiana di una civiltà. Mostra alle Scuderie del Quirinale

«La nostra civiltà si fonda sul riconoscimento della inarrivabile grandezza dell’antichità classica. Dai Romani abbiamo derivato la tecnica del nostro pensiero e del nostro modo di sentire. Ai Romani dobbiamo la nostra coscienza sociale e la disciplina della nostra anima. Non è un caso che i Romani non fossero in grado d’inventare un nuovo ordine di colonne, un nuovo ornamento. Per far questo erano già troppo progrediti. Essi hanno derivato tutto questo dai Greci e lo hanno adattato ai loro scopi».
Così scriveva Adolf Loos, architetto, intellettuale, tra i più importanti di quell’avanguardia artistica che all’inizio del secolo scorso rivoluzionò il modo di pensare e di vivere dell’Europa intera. Karl Kraus, Arnold Schönberg, Peter Altenberg, i compagni di viaggio di Loos. Letteratura, musica, poesia, pittura e architettura gli strumenti che utilizzarono per un cambiamento che si può definire epocale.

Nel testo introduttivo al catalogo della mostra «Roma. La pittura di un Impero», allestita alle Scuderie del Quirinale fino al 17 gennaio, Eugenio La Rocca, che ne è il curatore con Serena Ensoli, Stefano Tortorella e Massimiliano Papini, esprime lo stesso concetto che quasi cento anni fa esprimeva Adolf Loos: nulla s’inventa e tutto si costruisce su ciò che sappiamo e abbiamo imparato.
Una lunga premessa per spiegare in maniera dettagliata e circostanziata che i Romani, pur essendo in piena continuità, con la tradizione greca, sono capaci allo stesso tempo d’introdurre novità sostanziali nel campo della pittura. La Rocca cita la teoria della formazione dei fasci fibrosi di George Kubler, che ha immaginato l’esperienza dell’arte come un continuum che va avanti per addizione. Anche l’artista più illuminato, più visionario, non può prescindere dal contesto in cui opera, e la sua arte, anche se per distacco, è comunque influenzata da tutto ciò che è venuto prima.
La mostra abbraccia un lungo arco temporale, dal I secolo a.C. al V secolo d.C., e mette in scena per la prima volta tutte insieme, opere che provengono da diversi musei. Tra questi il Louvre di Parigi, il British Museum di Londra, i musei archeologici di Monaco, Francoforte, Zurigo e ovviamente i musei di casa nostra, come il Museo Archeologico di Napoli, gli Scavi di Pompei, il Museo Nazionale Romano, i Musei Vaticani e Capitolini di Roma.

Un’esposizione che aiuta a comprendere la società romana nella sua complessa articolazione. Che c’informa di come vivevano gli antichi Romani, di come erano decorate le loro case, dei loro gusti e della loro cultura. Circa 100 le opere esposte, organizzate in cinque sezioni: l’apparato scenografico delle pareti, il paesaggio e le vedute paesistiche, il mito, la natura morta, il ritratto. Affreschi, e in certi casi intere pareti, dipinti a tempera e ad encausto (cera fusa), su tavola, su lino o su vetro.

Al primo impatto ciò che più colpisce è l’originalità della produzione pittorica romana. Generalmente si è spesso dato maggior rilievo ad altre arti, come la scultura piuttosto che l’architettura, e per consuetudine si è portati a pensare alle rappresentazioni del mondo classico come a immagini esclusivamente in bianco e nero. Questa finestra sulla romanità ci racconta un’altra storia, fatta della varietà e dei colori della vita. La mostra è in questo senso un percorso nello spazio e nel tempo. Una passeggiata, stretta e lunga, che ti avvolge con una luce bianca attenuata dal grigio delle pareti espositive. In alcuni punti la passeggiata si allarga, e accoglie delle insenature, piccole piazze pentagonali che ti catturano con il rosa novello, il rosso, il viola, il verde e l’azzurro del cielo. Un cielo senza nuvole.

Qui s’incontra Ulisse. Ulisse e le sirene, Ulisse ed Euriclea, Ulisse e i Lestrigoni. «Tale mito pervade l’imagerie d’epoca imperiale in svariate classi di materiali come mosaici, rilievi in pietra, lastre fittili, sarcofagi e gemme e veicola messaggi diversi in dipendenza dei contesti e del periodo d’impiego, perché la celebrazione della virtus di Ulisse può associarsi al motivo della seduzione intellettuale, musicale ed erotica delle sirene». E Ulisse è il viaggiare. Fuori e dentro di sé. l’attesa e la speranza. la lotta dell’uomo contro i limiti invalicabili. Il suo vagabondare viene descritto e rappresentato con paesaggi fiabeschi che «spesso tendono a sovrastare le figure, tanto che la porzione in cui Ulisse naviga verso la casa di Circe», per esempio, «assurge di fatto a pittura di paesaggio, senza alcuna scena determinata, ma con uno stretto di mare inquadrato da una rupe e da una spiaggia da cui risalgono gradatamente le alture».

Più avanti s’incontrano il paesaggio e le vedute paesistiche propriamente dette. Qui tutto galleggia nello spazio. Le figure, le case, i monumenti, la natura stessa. Fluttuano avvolti da una sorta di gradevole nebbia. Ed è un trionfo di colori, una gamma cromatica dal sapore orientale dove predomina il colore viola. la sezione che più emoziona, per la dimensione delle opere esposte e per lo stupore che genera lo loro visione.
La passeggiata diventa altro quando i ritratti, la produzione detta del Fayyum, prendono il posto delle vedute o del mito di Ulisse. Le pareti grigie, in questo spazio sempre uguale eppure nuovo, sono occupate da parallelepipedi neri che contengono come scrigni pezzi pregiati. Ritratti. Volti di uomini e donne. Sguardi, espressioni che dall’Impero Romano giungono a noi, ora e qui. Ancora una volta lo stupore è dato dalla qualità delle opere esposte, dalla preziosità e unicità degli esemplari. Su tutti emerge un Ritratto maschile su vetro da Pompei.

«Il piccolo ritratto su vetro, un pezzo eccezionale sia per natura che per conservazione, venne rinvenuto nel 1907 nella V regio pompeiana. Il ritratto è dipinto a freddo su una lastrina incolore, priva di strato vitreo di copertura. La resa del volto e in particolare degli occhi, intensamente espressivi, avvicinano l’opera ai ritratti del Fayyum Il ritratto in oggetto, per la delicata e raffinata esecuzione della quale mancano a Pompei confronti, fu dunque realizzato in Campania da artigiani alessandrini o importato da Alessandria nella prima metà del I secolo d.C.».
«Roma. La pittura di un Impero» è perciò l’occasione per conoscere da vicino la pittura romana, per valutarla in condizioni ottimali di luce e per vedere opere che nel loro insieme raccontano una storia. Per i più esperti sarà possibile rintracciare in questi dipinti «tecniche pittoriche dell’era moderna, come la macchia, l’utilizzo del chiaro oscuro a tratteggio, la lumeggia tura che sembrano anticipare le acquisizioni del XIX e del XX secolo».

La mostra rende merito inoltre, ai tanti artisti che non hanno un nome e che hanno contributo in maniera determinante a fare della pittura una delle arti più apprezzate di tutti i tempi.
Il progetto espositivo di Luca Ronconi e Margherita Palli con la collaborazione di Valentina Dellavia accompagna la lettura delle opere. Costruisce un percorso e un gioco di luci che non interferiscono con l’arte, ma l’assecondano e la rendono ancor più preziosa.
«Il presente si costruisce sul passato così come il passato si è costruito sui tempi che lo hanno preceduto», scriveva Adolf Loos in Parole nel vuoto all’inizio del secolo. E questa mostra nella sua essenziale rappresentazione ne è una prova.
Orari: da domenica a giovedi dalle 10 alle 20, venerdi e sabato dalle 10 alle 22.30
Info: per informazioni e prenotazioni 06.39967500 e www.scuderiequirinale.it