«Sei mesi per uscire dalla dipendenza»
La psicologa Quintiliani Di Ghionno spiega le tecniche di cura per guarire il giocatore compulsivo
PESCARA. Un supporto psicologico e psicoterapeutico finalizzato a modificare il comportamento del giocatore, che è compulsivo. Questa l’attività principale svolta dagli psicologici del Sert per curare i pazienti affetti dal gioco d’azzardo patologico. Abbiamo chiesto a Fabiola Quintiliani Di Ghionno, psicologa del Sert.
In che modo curate le persone affette da dipendenza dal gioco d’azzardo?
«Usiamo tecniche di desensibilizzazione sistematica e di ristrutturazione cognitiva. Inoltre viene fornito un supporto alla famiglia. Tutto questo avviene durante incontri settimanali, soprattutto all’inizio quando c’è necessità di fare la diagnosi. Poi, dopo quattro, cinque settimane, facciamo una seduta ogni quindici giorni e poi una volta al meseLa cosa più importante è creare la motivazione al cambiamento».
In che modo capite se un soggetto è affetto da questa patologia?
«Effettuiamo test psico-diagnostici, alcuni specifici per il gioco patologico e altri generali. Ma la valutazione finale ed esemplificativa viene fatta sempre tramite il colloquio. Inoltre forniamo dei compiti da fare o chiediamo di scrivere un diario su quello che si fa. L’obiettivo è far capire che c’è il problema».
Molti pazienti arrivano dopo la segnalazione dei familiari. Che ruolo ha la famiglia?
«Il collegamento con la famiglia è fondamentale, ma non necessario. I familiari devono anche svolgere un’attività di controllo e placare il giocatore nei momenti in cui sente di dover giocare».
Ci sono casi più difficili?
«Le situazioni più complesse sono quelle nelle quali riscontriamo la presenza anche di altre patologie, come depressione, problemi sociali o un livello cognitivo basso. In questi casi è più difficile aiutare, così come quando non c’è il supporto della famiglia».
E i casi più facili?
«Quelli più semplici sono quelli agli esordi, per i quali non c’è una gravità esagerata ed è più facile risolverli. Comunque in media con sei mesi si riesce a guarire».
C’è il rischio di ricaduta?
«Se il paziente raggiunge una consapevolezza del problema, si rende conto quando sta o potrebbe ricadere».©RIPRODUZIONE RISERVATA