Silvana Pica, un mistero lungo 4 anni
Il caso è stato archiviato, ma il corpo non è stato trovato. La sorella: quella sera era disperata, bisogna scoprire perché
PESCARA. Quattro anni senza Silvana Pica, quattro anni di mistero che l’archiviazione della magistratura non ha certamente risolto, come non ha risolto tutti i dubbi e le incongruenze che da quel 17 gennaio 2012 continuano ad aleggiare intorno alla scomparsa di questa donna dal passato brillante. Una donna bella, colta che la malattia mentale, insieme con un matrimonio finito subito male (quello con il noto medico pescarese Vincenzo Berghella) condanna presto alla solitudine e all’isolamento. È con la ex suocera che mantiene i rapporti mentre il figlio Lorenzo, oggi avvocato 29enne, glielo crescono sua madre e sua sorella con cui però la donna rompe completamente i rapporti. Ma in questo suo entrare e uscire da un centro a un altro, in queste cure iniziate e sospese, finalmente a 57 anni (l’età che aveva quando è scomparsa) sembra aver trovato la chiave del suo equilibrio al Centro di igiene mentale, grazie alla terapia di una dottoressa che esclude la schizofrenia, la malattia con cui spesso era stata liquidata anche da chi le era vicino, per individuare nel disturbo bipolare la causa dei suoi violenti alti e bassi.
Un periodo felice. Dunque Silvana che si sarebbe suicidata alla vigilia di quella terapia periodica, e di cui nessuno ha davvero mai cercato il corpo, non era pazza. E soprattutto, in quel periodo, forse stava finalmente riordinando il puzzle della sua tormentata esistenza. Aveva riallacciato i rapporti con il figlio grazie all’intervento della ex suocera e del cognato Marcello Berghella che riuscirono a fargli passare l’ultimo Natale insieme al ragazzo; aveva un lavoro part-time alla Provincia come traduttrice (parlava inglese e francese) che, nonostante la sua riservatezza, la costringeva comunque a uscire e ad avere un minimo di vita sociale e, anche, di lì a due giorni avrebbe chiuso con un’udienza in Tribunale il ventennale contenzioso economico con l’ex marito Vincenzo Berghella con cui, in comunione dei beni, ancora condivideva la proprietà dello studio medico di via Regina Margherita. Passaggio, questo, che probabilmente l’avrebbe finalmente risollevata economicamente dopo che a 57 anni, suo malgrado, era costretta a condividere l’affitto di un appartamento in viale Marconi con delle lavoratrici romene.
L’ultimo giorno. È in questo contesto che Silvana Pica sparisce la sera del 17 gennaio 2012. O meglio: nonostante fosse questo il contesto, Silvana quella sera è in condizioni di totale disperazione. Ha un labbro tumefatto, e non è stato mai chiarito come, chi e perché l’avesse ridotta così già alle 15,30 di quel 17 gennaio quando una coinquilina gliene chiede conto e lei risponde che era un’allergia. E ancora, quella sera si vede chiudere in faccia l’ultima porta che le era sempre stata lasciata aperta, quella della ex suocera Giovanna Rosica. L’anziana, agitata anche lei tanto da dirsi poi pentita di quella sua reazione nei confronti della nuora, all’ora di cena, come dichiara anche il figlio Vincenzo per spiegare le telefonate di quella sera tra lui e la madre («mia madre mi chiamò all’ora di cena ma interruppe la telefonata per il citofono che suonava e dieci minuti dopo ci richiamò dicendo che era Silvana, che era molto agitata e con il volto tumefatto e che lei, spaventata, l'aveva mandata via»), si rifiuta di ospitarla per la notte. La testimone. Di fatto, intorno alle 20,30 una vecchia amica di Silvana la vede davanti alle Poste di via De Amicis mentre con il suo immancabile trolley, attraversa e si dirige verso la stazione e non verso il mare, dove si sarebbe suicidata come si ipotizza nell’archiviazione sulla base della sua borsa ritrovata in mare due mesi dopo. È quello l’ultimo fotogramma di Silvana che quel giorno, la mattina, fa le ultime due telefonate al cognato Marcello Berghella mentre nel tardo pomeriggio è la suocera a vederla per ultima.
Le indagini sviate. Le indagini scattano dal 27 gennaio quando il cognato Marcello e il figlio Lorenzo vanno a denunciarne la scomparsa ai carabinieri. Da quel momento una serie di pezzi mancanti (soldi e gioielli) nella stanza di Silvana completamente sottosopra (dove nei dieci giorni precedenti alla denuncia entra chiunque), di accuse reciproche tra l’ex marito e il cognato e di colpi di scena, non fanno che sviare e complicare le indagini. A cominciare dalla lettera anonima ricevuta dall’investigatore privato incaricato da Marcello Berghella per fare accertamenti sulla scomparsa della cognata e che alla fine la pm Valentina D’Agostino bolla come inattendibile perché, scrive sulla richiesta di archiviazione, i capelli e i blister delle medicine riferibili a Silvana e trovati nella lettera «erano facilmente reperibili nella stanza occupata da Silvana Pica ad opera delle persone che vi hanno avuto accesso».
Ma allora c’era qualcuno interessato ad alimentare il mistero, o addirittura a sviare le indagini? E se sì, per quale motivo? È questo il vero giallo irrisolto, della scomparsa di Silvana Pica, al di là di un corpo che non si è mai trovato, e di un suicidio che può essere anche verosimile visto che, come scrive il gip nell’archiviazione «non ci sono elementi che possano far ipotizzare che Pica sia stata vittima di azioni violente a opera di terze persone».
La sorella. «Credo che mia sorella quella sera fosse davvero disperata», dice oggi Elga Pica, «perché con il no della suocera si sarà vista con tutte le porte chiuse dato che con noi aveva chiuso i rapporti da tempo. Silvana è morta, probabilmente si è suicidata, ma un motivo c’è ed è da lì che si doveva iniziare a cercare».
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