Spari in faccia, confronto donna-arrestato

Riconoscimento all'americana per lo stalliere dei Ciarelli. La Scientifica nella casa dell'ultrà ucciso

PESCARA. C'è una donna da proteggere, prima che possibili intimidazioni la spingano a ritrattare o a lasciare il nostro Paese. Offesa nel viso da un proiettile esploso da mano omicida e traumatizzata nell'animo da un'aggressione parente stretta di un'esecuzione, la prostituta sopravvissuta per miracolo a un colpo calibro 38 diventa la chiave di volta di un processo da celebrarsi al più presto, quasi certamente attraverso la scorciatoia del giudizio immediato, dribblando l'udienza preliminare.

A tempo da record, la procura chiede al gip di fissare, con incidente probatorio, e di fatto di ripetere il confronto all'americana che ha consentito alla donna nigeriana di inchiodare Pasquale Di Giovanni, il 28enne di Termoli arrestato due giorni fa dalla polizia su ordinanza del gip Luca Sarandrea e cugino - nonché stalliere di famiglia - di tre dei cinque Ciarelli arrestati per l'omicidio di Domenico Rigante.

Per il pm Giampiero Di Florio, la necessità di far entrare nel processo che sarà le dichiarazioni dell'unica e principale accusatrice, diventa primaria per blindare l'accusa.

La quale, così come ricostruita dalla Mobile guidata da Pierfrancesco Muriana, racconta che un mese fa, abbordata la donna sul lungomare di Montesilvano, Di Giovanni l'ha condotta in auto in una strada buia a San Donato e ha eseguito la sentenza già pianificata, ma dall'esito non previsto: l'ha fatta spogliare, l'ha rapinata di 80 euro e ha fatto fuoco tre volte, incurante delle suppliche della donna, già china a terra in segno di rassegnazione. La pistola, calibro 38 come quella che 5 mesi fa ha strappato la vita a Italo Ceci e il primo maggio all'ultrà del Pescara, si è inceppata e solo il primo colpo ha centrato la nigeriana.

Ma la 23enne non è morta, lui è scappato e lei - una volta fuori dell'ospedale - ha riconosciuto, in un primo confronto all'americana, quell'uomo incensurato con braccialetti e il vizio di mordersi le nocche della mano, che prima di tentare di ucciderla aveva calzato dei guanti in lattice.

Un particolare, quest'ultimo, inquietante ma per ora solo suggestivo di un collegamento con l'omicidio di via Polacchi attribuito a Massimo Ciarelli in concorso con tre cugini e un nipote. Toccherà alla Scientifica, che tra pochi giorni tornerà nella casa dell'ultrà ucciso, e alla perizia balistica sulle ogive mettere a fuoco nessi eventuali tra le sparatorie del 25 aprile e del primo maggio, se non addirittura con il delitto del 20 gennaio del commerciante di piazza dei Martiri Pennesi.

Che la stessa pistola abbia fatto fuoco due volte in meno di una settimana resta solo una teoria, per ora, non più accreditata dell'ipotesi di un surplus di calibro 38 in circolazione e di una facilità a procurarsi le armi da parte dei Ciarelli almeno proporzionale alla rapidità con cui le stesse vengono fatte sparire.

Per ora, a Di Giovanni è contestato il tentato omicidio, ma premeditato e dunque ancora più inquietante perché senza movente, da rintracciare non nella rapina da un pugno di euro, ma semmai in quella che il gip definisce «spiccata indole aggressiva».

Di Giovanni, che stamane sarà sottoposto a interrogatorio di garanzia assistito dal proprio legale Luca Sarodi, non lo spiegherà comunque al gip perché si avvarrà della facoltà di non rispondere per non aggravare una posizione già compromessa.

In attesa che la prostituta nigeriana - operata, salvata ma tuttora sotto choc - recuperi dal cuore la forza e il coraggio di indicarlo una volta ancora - quella decisiva - come l'uomo che ne voleva la morte.

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