Tifoso del Pescara ucciso, trent’anni a Ciarelli. Rabbia rom in aula: "Sentenza razzista" / Foto
Il gup: «Fu omicidio premeditato». Agli altri imputati 19 anni e 4 mesi Polizia in assetto antisommossa e tribunale blindato per il verdetto
PESCARA. Urlano, i cinque imputati, applaudono ironicamente, insultano, gridano al razzismo quando il giudice per l’udienza preliminare Gianluca Sarandrea legge alle 19 la sentenza: Massimo Ciarelli viene condannato a 30 anni di carcere per omicidio volontario premeditato del tifoso di 24 anni Domenico Rigante. I suoi parenti Angelo, Domenico, Antonio e Luigi sempre della famiglia rom Ciarelli vengono condannati a 19 anni e quattro mesi per omicidio volontario. Pene pesantissime arrivate dopo un’udienza durata una giornata intera in cui la coppia di legali star di Ciarelli, il professor Carlo Taormina e Franco Metta, non è riuscita a incidere nonostante le ore spese a spiegare che Ciarelli non voleva uccidere perché altrimenti avrebbe sparato in un punto vitale e non sopra il gluteo. Ma non è stato così, per il giudice per l’udienza preliminare, che di quella sera del 1° maggio 2012 ha dato un’altra lettura: Massimo irrompe nella casa in via Polacchi con l’intenzione di uccidere Domenico e gli altri 4 rom ne condividono l’azione.
Tribunale blindato, i rom: siete voi gli assassini. Gli avvocati Taormina e Metta non sono in aula mentre il giudice legge la sentenza che, in pochi minuti, arriva alle orecchie dei familiari di Ciarelli. Una donna rom si sente male e viene portata a braccia fuori dal tribunale, gli altri rom si dispongono in fila guardati a vista da un cordone di poliziotti in assetto antisommossa.
«Massimo Ciarelli, 30 anni» legge il giudice e le donne fuori dall’aula esplodono: «Questo è razzismo puro, vergognatevi, gli assassini siete voi», urlano i familiari mentre un’altra donna aggiunge: «E’ stata una disgrazia». Da un’altra porta dell’aula esce Pasquale Rigante, il papà di Domenico, che ha assistito in silenzio all’udienza e si commuove mentre lascia il tribunale: «Domenico non tornerà, non ce lo ridarà nessuno, il giudice ha deciso così, abbiamo dovuto sentire anche delle calunnie su mio figlio». Ancora una volta, ieri, Pasquale Rigante ha incrociato in aula lo sguardo degli assassini del figlio, non cedendo alle provocazioni, scegliendo il profilo basso e invitando in questi mesi, proprio per evitare tensioni, gli amici del figlio a non partecipare all’udienza.
Taormina torna a Pescara. Il giorno del verdetto per i cinque accusati di aver ucciso il tifoso di 24 anni è iniziato alle 10 con il tribunale blindato, la mattina con i carabinieri del battaglione di Napoli e il pomeriggio con i poliziotti della Celere.
Nell’aula sono stati portati i cinque imputati, i cinque Ciarelli che dal giorno dell’omicidio si trovano in carcere e l’udienza a porte chiuse è iniziata sotto lo sguardo del questore Paolo Passamonti e degli uomini che arrestarono i rom, i poliziotti della Mobile alla guida di Pierfrancesco Muriana.
E’ stato il giorno dedicato alle difese, quelle dei legali di Massimo, e degli avvocati pescaresi Giancarlo De Marco, Ruggero Romanazzi e, quindi, Ranieri Fiastra per la famiglia Rigante. Il primo a prendere la parola è stato Franco Metta del foro di Foggia che per due ore ha cercato di smontare la ricostruzione del pm che aveva chiesto l’ergastolo per Massimo Ciarelli. «Massimo Ciarelli non voleva uccidere», ha sostenuto il legale, «altrimenti avrebbe sparato alla testa o al tronco e non sopra il gluteo che non è una parte vitale e avrebbe anche reiterato il colpo», ha spiegato l’avvocato allontanandosi poi dall’aula con alcuni familiari di Ciarelli.
«Pene pesantissime». Alle 15 è stato il turno di Taormina, l’avvocato che aveva cercato di far spostare il processo da Pescara perché reputata sede processuale poco sicura. A nulla era valsa quella richiesta alla Cassazione così come il gup non ha accolto l’arringa di Taormina basata, come quella del collega, sulla richiesta di un omicidio preterintenzionale e non premeditato. Metta e Taormina non hanno aspettato la lettura della sentenza, mentre in aula sono rimasti gli avvocati pescaresi: «Resto perplesso di fronte a queste pene che sono molto alte», dice all’uscita De Marco, «e occorrerà aspettare le motivazioni per capire il ragionamento del giudice. La sentenza potrà comunque essere riformata».
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