Ultrà ucciso, 9 testimoni contro i Ciarelli

Dal raid in piazza dei Grue all'agguato nella casa, ecco le accuse che hanno fatto arrestare i 5 rom

PESCARA. «Bagnalè, bagnalè» grida il commando rom mentre scappa da via Polacchi e già sa che per quell'agguato sanguinario si stanno precipitando polizia e carabinieri. È solo uno dei tanti particolari che, ognuno dalla propria posizione, raccontano i nove testimoni che incastrano i cinque Ciarelli arrestati per l'omicidio di Domenico Rigante.

Nove testimonianze che ricostruiscono ogni fase dell'agguato, dall'arrivo del commando in piazza dei Grue all'inseguimento di Antonio Rigante e dell'amico lungo via Polacchi, fino all'inferno che il commando scatena in casa e alla successiva fuga con la 500 Abarth e lo scooterone. Particolari che, dopo la reticenza dei primi giorni spiegata dagli stessi testimoni con le minacce ricevute dal commando prima di lasciare la casa, in seconda battuta sono stati riferiti dai testi «senza ombra di dubbio» agli investigatori della Mobile.

Frasi, circostanze e descrizioni che hanno consentito agli uomini diretti da Pierfrancesco Muriana di ricostruire la scena del crimine associando a ognuno dei cinque arrestati ruoli e movimenti. Di qui la richiesta al gip, da parte del pm Salvatore Campochiaro, di un incidente probatorio che con un confronto all'americana protetto, tra testimoni e arrestati, blindi le prove finora acquisite a carico di Massimo Ciarelli, presunto omicida dell'ultrà di 24 anni, e dei suoi complici: i cugini Luigi, Angelo e Antonio e il nipote Domenico Ciarelli.

MASSIMO.
A inchiodare il rom di 29 anni accusato di essere l'assassino di Domenico Rigante è innanzitutto la vittima che, prima di morire, rivela il suo nome ai soccorritori. Ma la presenza di Massimo Ciarelli (che avrebbe organizzato il raid per vendicare le botte subìte la sera prima dal gruppo da Antonio Rigante in via delle Caserme), è confermata da due testimoni che lo vedono arrivare in piazza dei Grue a bordo della Fiat Cinquecento (lato passeggero) e scendere armato; da due che lo vedono impugnare la pistola con un guanto in lattice mentre insegue e spara contro Antonio Rigante e l'amico, e da quattro che all'interno della casa ne descrivono movimenti e frasi. Come l'ordine che Massimo dà ai due che sono nascosti sotto al tavolo della cucina con Domenico Rigante: «Fuori dai cogl... voi due» e mentre quelli escono, uno dei due riferisce che Domenico implora «Non mi sparate ho una bambina piccola», seguito da un colpo di pistola e Domenico che si lamenta «mi hanno sparato a una gamba». Dichiarazioni che si intrecciano con quelle di un altro teste che descrive Massimo accovacciato accanto a Domenico, mentre gli punta la pistola a un fianco e poi dice allo stesso teste: «Non lo uccido solo perché ci sei tu».

LUIGI.
Sono tre i testimoni che riconoscono Luigi, il primo dei tre cugini di Massimo. Tre persone che ne dipingono un ruolo più che attivo nell'agguato: da quando arriva in piazza dei Grue in sella allo scooterone guidato da Domenico a quando piomba anche lui nella casa di via Polacchi: secondo un testimone, è armato anche Luigi e sempre lui, dopo che Massimo ha sparato a Rigante, si accanisce sul giovane papà colpendolo ripetutamente con un casco.

ANGELO.
È il conducente della 500 che viene visto mentre con Massimo e gli altri rincorre Rigante e l'amico fin dentro casa. Qui un testimone lo incrocia in sala e un altro lo riconosce come quello che dopo gli spari torna indietro e minaccia: «Vi dovete fare i fatti vostri». La sua presenza è confermata anche da chi assiste alla fuga e lo vede risalire sulla 500 con altri 4 nomadi.

ANTONIO.
Il fratello gemello di Angelo viene riconosciuto solo da una persona che lo vede scendere e risalire sulla Cinquecento (sedile posteriore) prima e dopo il raid, descrivendo nel dettaglio com'è vestito lui e com'è vestito il gemello Angelo alla guida dell'auto. Antonio è anche quello a cui risulta in uso la 500: i poliziotti la ritrovano poco dopo l'omicidio proprio sotto casa sua, in via Caduti per Servizio, con il motore ancora caldo, le portiere aperte e senza chiavi.

DOMENICO.
È quello che secondo cinque testimoni guida lo scooterone che piomba in piazza dei Grue con la 500. È lui che viene visto correre e rimettersi sulla moto, con cui scappa verso via Croce dopo che un'altra persona lo ha incrociato nella sala dell'appartamento di via Polacchi.

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