Ultrà ucciso a Pescara, lascia il legale dei Ciarelli: "Minacciato di morte"
Ultrà ucciso, l'avvocato Sarodi abbandona la difesa dei complici del presunto killer
PESCATA. «Lascio per evidente, concreta e reale incompatibilità ambientale». L'avvocato Luca Sarodi, il legale dei quattro Ciarelli arrestati per concorso in omicidio dell'ultrà biancazzurro Domenico Rigante, abbandona la loro difesa dopo quattro settimane di continue minacce: «Si è innescato un meccanismo che sfugge a ogni controllo», dice il difensore che subito precisa: «Ma che sia chiaro, non lascio per paura». È il colpo di scena che racconta, una volta di più, il clima pesante di una città che dopo il primo maggio si è tolta la maschera, rivelando tutte le sue facce.
«Ho preso questo caso prescindendo dal nome delle persone che difendevo, convinto che noi avvocati siamo lo strumento perché la giustizia si realizzi. Ma non tutti», lamenta Sarodi, «riescono a percepire il senso della difesa». Il risultato sono gli insulti per strada e le minacce sempre meno velate nei confronti dell'unico avvocato del foro di Pescara che si è esposto nel clima di «caccia al rom» che si è scatenato dopo la sera del primo maggio, con centinaia di persone portate in piazza dagli amici di Rigante il giorno dopo il funerale del giovane di 24 anni. Il presunto killer Massimo Ciarelli è infatti difeso da Franco Metta e Antonio Valentini, rispettivamente del foro di Foggia e dell'Aquila, mentre dopo un giro vorticoso di nomine che hanno coinvolto anche Marco Di Giulio (di Pescara) e Francesco Valentini (dell'Aquila), proprio Sarodi era rimasto l'unico a difendere gli altri quattro Ciarelli (Domenico, Luigi, Antonio e Angelo).
MINACCE DI MORTE. «Da settimane mi sento dire che mi ammazzano», si sfoga l'avvocato che sabato si è ritrovato sotto casa «una delegazione» di sei persone. Un incontro inaspettato di cui non vuole parlare Sarodi, uscito «molto turbato» dal colloquio in cui, senza giri di parole, gli avrebbero paventato ritorsioni pesanti se non avesse rinunciato «a difendere gli zingari».
Quanto basta per indurre il legale ad alzare le mani: «Lascio, rinuncio alla difesa: non per paura, ma perché sono stato lasciato solo». Ordine degli avvocati, forze dell'ordine, ultrà e gli stessi rom: ce l'ha con tutti l'avvocato, «stanco di stare in balìa delle onde, di mettere a rischio la famiglia per un incarico che alla fine, visto come si stanno mettendo le cose, mi potrebbero pure revocare».
LASCIATO SOLO. «Sono un avvocato della strada, ho sempre avuto rapporti con tutti, anche con chi non ha accettato questo mio incarico. Io mi associo al dolore della famiglia, comprendo questa tragedia, ma parto dalla convinzione, come ho cercato di far capire, che difendere vuol dire accertare la verità, qualunque essa sia. Ma ormai non serve più, ormai si è innescato un meccanismo che non si controlla più e di cui fin dall'inizio ho informato la polizia. Mi hanno detto di mettere le mie segnalazioni per iscritto, io ho lasciato andare fino a quando la situazione si è acuita. Ma ora c'è l'evidente, concreta e reale incompatibilità ambientale. E questo, purtroppo, anche per la mancanza di dialogo tra difensori».
I COLLEGHI. Il riferimento è alla lite che si è scatenata, in occasione del primo interrogatorio dei quattro Ciarelli, tra Sarodi e gli altri avvocati sulla opportunità o meno di farli parlare davanti al gip. «Ne è scaturito un contrasto tra me e l'altro difensore», spiega il diretto interessato, «che si è concretizzato con una querela nei miei confronti. E questa ulteriore incompatibilità, messa insieme a tutto il resto, mi induce solo a rinunciare. Tenendo conto che anche la comunità rom non si è esposta in alcun modo, non ha dimostrato alcun tipo di solidarietà. Anzi, hanno fatto a gara a prendere le distanze dai Ciarelli, mentre le stesse famiglie dei ragazzi in carcere non si fanno sentire da giorni. È chiaro che mettendo tutte queste cose insieme mi sono convinto a lasciare. Il problema a questo punto è concreto ed evidente, sono veramente solo. E allora rinuncio».
Parla con lo stato d'animo di chi non si è sentito tutelato neanche dalla sua categoria: «Non sono contento neanche di questo, la categoria mi avrebbe potuto dare un sostegno che non ho avuto, considerando che situazioni di questo tipo non si sono mai verificate a Pescara, con duemila persone contro, più quelle fuori controllo. Perché non hanno capito», conclude, «che ho tanti amici anche tra chi non ha gradito che difendessi i Ciarelli. A loro ho cercato di far capire che in questa storia mi interessava l'aspetto tecnico, mi interessava cercare la verità. E invece alla fine ci potrebbero essere anche grosse ingiustizie su pene e partecipazioni. Ma io esco, rinuncio, ho deciso».
«Ho preso questo caso prescindendo dal nome delle persone che difendevo, convinto che noi avvocati siamo lo strumento perché la giustizia si realizzi. Ma non tutti», lamenta Sarodi, «riescono a percepire il senso della difesa». Il risultato sono gli insulti per strada e le minacce sempre meno velate nei confronti dell'unico avvocato del foro di Pescara che si è esposto nel clima di «caccia al rom» che si è scatenato dopo la sera del primo maggio, con centinaia di persone portate in piazza dagli amici di Rigante il giorno dopo il funerale del giovane di 24 anni. Il presunto killer Massimo Ciarelli è infatti difeso da Franco Metta e Antonio Valentini, rispettivamente del foro di Foggia e dell'Aquila, mentre dopo un giro vorticoso di nomine che hanno coinvolto anche Marco Di Giulio (di Pescara) e Francesco Valentini (dell'Aquila), proprio Sarodi era rimasto l'unico a difendere gli altri quattro Ciarelli (Domenico, Luigi, Antonio e Angelo).
MINACCE DI MORTE. «Da settimane mi sento dire che mi ammazzano», si sfoga l'avvocato che sabato si è ritrovato sotto casa «una delegazione» di sei persone. Un incontro inaspettato di cui non vuole parlare Sarodi, uscito «molto turbato» dal colloquio in cui, senza giri di parole, gli avrebbero paventato ritorsioni pesanti se non avesse rinunciato «a difendere gli zingari».
Quanto basta per indurre il legale ad alzare le mani: «Lascio, rinuncio alla difesa: non per paura, ma perché sono stato lasciato solo». Ordine degli avvocati, forze dell'ordine, ultrà e gli stessi rom: ce l'ha con tutti l'avvocato, «stanco di stare in balìa delle onde, di mettere a rischio la famiglia per un incarico che alla fine, visto come si stanno mettendo le cose, mi potrebbero pure revocare».
LASCIATO SOLO. «Sono un avvocato della strada, ho sempre avuto rapporti con tutti, anche con chi non ha accettato questo mio incarico. Io mi associo al dolore della famiglia, comprendo questa tragedia, ma parto dalla convinzione, come ho cercato di far capire, che difendere vuol dire accertare la verità, qualunque essa sia. Ma ormai non serve più, ormai si è innescato un meccanismo che non si controlla più e di cui fin dall'inizio ho informato la polizia. Mi hanno detto di mettere le mie segnalazioni per iscritto, io ho lasciato andare fino a quando la situazione si è acuita. Ma ora c'è l'evidente, concreta e reale incompatibilità ambientale. E questo, purtroppo, anche per la mancanza di dialogo tra difensori».
I COLLEGHI. Il riferimento è alla lite che si è scatenata, in occasione del primo interrogatorio dei quattro Ciarelli, tra Sarodi e gli altri avvocati sulla opportunità o meno di farli parlare davanti al gip. «Ne è scaturito un contrasto tra me e l'altro difensore», spiega il diretto interessato, «che si è concretizzato con una querela nei miei confronti. E questa ulteriore incompatibilità, messa insieme a tutto il resto, mi induce solo a rinunciare. Tenendo conto che anche la comunità rom non si è esposta in alcun modo, non ha dimostrato alcun tipo di solidarietà. Anzi, hanno fatto a gara a prendere le distanze dai Ciarelli, mentre le stesse famiglie dei ragazzi in carcere non si fanno sentire da giorni. È chiaro che mettendo tutte queste cose insieme mi sono convinto a lasciare. Il problema a questo punto è concreto ed evidente, sono veramente solo. E allora rinuncio».
Parla con lo stato d'animo di chi non si è sentito tutelato neanche dalla sua categoria: «Non sono contento neanche di questo, la categoria mi avrebbe potuto dare un sostegno che non ho avuto, considerando che situazioni di questo tipo non si sono mai verificate a Pescara, con duemila persone contro, più quelle fuori controllo. Perché non hanno capito», conclude, «che ho tanti amici anche tra chi non ha gradito che difendessi i Ciarelli. A loro ho cercato di far capire che in questa storia mi interessava l'aspetto tecnico, mi interessava cercare la verità. E invece alla fine ci potrebbero essere anche grosse ingiustizie su pene e partecipazioni. Ma io esco, rinuncio, ho deciso».
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