Uno degli arrestati nega, L’altro lo accusa: gli ha anche spento la sigaretta in faccia 

Ecco la versione dei due amici accusati dell’omicidio davanti agli inquirenti Da ieri sono stati trasferiti a Roma e all’Aquila, nei prossimi giorni la convalida

PESCARA. «Sì, ho visto Gianni (nome di fantasia ndr) sferrare coltellate. Il ragazzo stava a terra, sdraiato su un lato. L’amico che era con me ha visto la scena e se ne è andato. Io sono rimasto là, ero bloccato, e dopo un po’ me ne sono andato pure io. Poi siamo andati alla Croce del Sud, io sono rimasto sotto l’ombrellone con la mia fidanzata».
È la ricostruzione che fa uno dei due minorenni arrestati, figlio di un carabiniere (comandante di una stazione della provincia di Pescara), nel corso dell’interrogatorio davanti agli uomini della squadra mobile (alla presenza del suo legale Marco Di Giulio) alle prime ore dell’alba, dopo il loro fermo per l’uccisione di un diciassettenne, nel parco Baden Powell di Pescara intorno alle 18 di domenica (il corpo sarà trovato verso le 21.30, ora della segnalazione). Una ricostruzione che gli investigatori prendono però con le molle in quanto riferita da uno dei diretti interessati, che peraltro contrasterebbe con quanto riferito agli investigatori da un teste chiave che sarebbe stato presente a quella che potrebbe apparire una sorta di “spedizione punitiva” nei confronti della vittima, colpevole di non aver restituito circa 250 euro per della droga da fumare acquistata da uno dei due arrestati.
Va detto che gli amici che accompagnavano i due arrestati quella sera avrebbero riferito che uno dei due aveva un coltello e l’altro, figlio del militare, addirittura una pistola, anche se quest’ultimo ha negato il possesso dell’arma. Ma ecco che cosa riferisce proprio quest’ultimo alla polizia che lo ha sentito alle 6 di ieri mattina.
«Ieri pomeriggio ci eravamo accordati per andare al mare (e qui elenca i nomi dei sei compagni ndr). Ci siamo visti nei pressi della stazione e Gianni (sempre nome di fantasia ndr) ha trovato casualmente questo ragazzo che conosceva. Io non lo avevo mai visto. So che doveva dei soldi a Gianni come egli stesso mi ha detto. Gli doveva circa 300 euro ma non so per quale motivo, presumo per debiti di droga. Gianni e il ragazzo (la vittima ndr) si appartano a parlare, noi li avevamo a vista ma non sentivamo quello che si dicevano. Poi Gianni ci ha chiesto se potevamo accompagnarli al parco. Siamo passati dalla stazione, dai silos, dai parcheggi, e siamo arrivati al parco. Gianni ci faceva segno di stare un po’ indietro rispetto a loro. Al parco si sono appartati e noi ci siamo seduti».
Poi l’indagato conferma alla polizia che Gianni aveva un coltello, ma non che lui aveva una pistola. Il racconto prosegue. «Al parco Gianni e il ragazzo si sono appartati e, da una recinzione abbattuta, sono andati dietro gli alberi dove c’è un muro. Dopo alcuni minuti, io e il mio amico (il testimone chiave ndr), insieme ad altri due, siamo andati a controllare perché non li vedevamo più uscire. Quando ci siamo affacciati abbiamo visto Gianni con il coltello in mano e il ragazzo per terra che non parlava più».
Fin qui un racconto che non coincide con quanto riferito dal testimone alle forze dell’ordine. La vittima, che a quanto pare da una prima ricognizione esterna sarebbe stata raggiunta da venticinque coltellate, non una sola, sarebbe stata ripetutamente colpita prima da Gianni e poi dall’altro indagato (il figlio del carabiniere) che secondo il testimone avrebbe preso di mano il coltello all'amico per continuare a martoriare il corpo della vittima che rantolava: forse altre dieci pugnalate. Poi, come se nulla fosse accaduto, il corpo del diciassettenne viene lasciato fra i cespugli e gli altri vanno al mare.
«Non mi ricordo niente», dice ancora l’indagato nel suo racconto, «di quello che ci siamo detti al mare». E alla domanda dell'investigatore sul fatto che anche lui ha sferrato dieci coltellate alla vittima, quest'ultimo risponde così: «Ho già detto quello che ho fatto. Aggiungo che Gianni ha spento la sigaretta sulla faccia del ragazzo». E conclude la sua ricostruzione dichiarando che quando arrivò nel vicolo il ragazzo stava fermo per terra e non si lamentava. «Non siamo usciti dalla stradina da dove siamo entrati, ma da quella che ha il cancello. Non ho raccontato nulla agli altri perché Gianni mi ha detto di non dirlo e agli altri ho detto che per Gianni tutto era risolto e che aveva riavuto i suoi soldi. Io non ho fatto nessuna battuta allo stabilimento. Le faceva Gianni». Pare infatti che qualcuno del gruppetto abbia addirittura scherzato su quanto accaduto mentre erano tranquillamente al mare.
Gianni (sempre nome di fantasia di uno degli arrestati), dal canto suo ha praticamente negato tutto alla polizia. Assistito dal suo legale, Roberto Mariani, avrebbe detto di non conoscere la vittima e che quest’ultima non aveva nessun debito di droga con lui. «Non avevo un coltello», dice alla polizia, «e non sono a conoscenza di una pistola. Non conosco la vittima, non conosco la sua voce, non avevo rapporti con questo ragazzo. Mai avuto contatti con lui».
Gli viene fatto vedere un frammento di una ripresa di videosorveglianza dove i due vengono ritratti, ma anche in questa circostanza nega: «Non sono io quello delle immagini». Poi quando gli viene chiesto quante coltellate ha sferrato alla vittima, si avvale della facoltà di non rispondere.
Ieri i due sono stati trasferiti uno a Roma e l’altro all’Aquila, dove il fascicolo è già stato trasmesso dal procuratore Giuseppe Bellelli e dal sostituto Gennaro Varone (che nell'immediatezza del fatto si sono recati sul posto per un sopralluogo) ai colleghi della procura minorile. Nei prossimi giorni verrà fissata la convalida del fermo.
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