Vino, in etichetta il «certificato verde»
Cresce la richiesta di bottiglie prodotte con bassa emissione di gas serra
PESCARA. Un vino australiano per arrivare sulle nostre tavole percorre 16mila chilometri producendo l’emissione di 29,3 chili di anidride carbonica. Un Trebbiano fa pochi chilometri con l’emissione di qualche grammo di gas serra.
E tutto dentro questi due valori la partita che il settore vitivinicolo gioca sul “bilancio del carbonio”, cioè sul calcolo della quantità di gas serra emesso dalla filiera di produzione del vino. Sempre più di frequente, infatti, la grande distribuzione chiede informazioni o documentazioni sulla “qualità verde” dei prodotti che acquista e, soprattutto nei paesi anglosassoni, sono già in commercio beni con l’indicazione sulle confezioni della quantità di gas serra emesso per la produzione.
«Anche per il vino», spiega Angelo Cichelli, presidente del corso di laurea in Economia ambientale della D’Annunzio, «arriveremo a indicare sulle etichette, inizialmente in maniera non obbligatoria, il bilancio del carbomio, assieme alle tradizionali indicazioni sulla qualità e la tipicità».
Operazione per la verità non facile tecnicamente. Cichelli è il rappresentante italiano all’interno dell’Oiv, l’Istituto internazionale del vino che sta discutendo in questi mesi l’adozione di un protocollo per il calcolo della C02 prodotta nel settore vitivinicolo.
«Per il momento l’unico protocollo disponibile è quello messo a punto da un team di tecnici australiani, neozelandesi e americani», dice Cichelli, «che l’Australia raccomanda come metodologia ufficiale da adottare. L’applicazione del bilancio del carbonio», aggiunge Cichelli «potrà portare a nuove forme di concorrenza a livello regionale. Infatti i consumatori sono sempre più sensibili alle tecnologie verdi e si orienteranno sui prodotti di aree più virtuose dal punto di vista ambientale. Un aspetto negativo potrebbe essere però l’insorgere di nuove forme di protezionismo, che penalizzano i trasporti a grandi distanze, con incentivazione delle produzioni locali».
Per Cichelli è tempo che anche la regione Abruzzo si occupi di questo problema. «Sarebbe importante studiare le caratteristiche delle nostre aziende, sia per quanto riguarda il consumo di energia elettrica che i sistemi di produzione. Ci sono regioni come l’Emilia Romagna, il Trentino e la Toscana, che stanno già investendo in questa direzione. Le stesse cantine potrebbero cominciare a vedere la produzione ecocompatibile come un’opportunità commerciale».
I consumatori italiani sono già pronti a recepire il messaggio. Secondo un’analisi della Coldiretti basata sul rapporto dell’Eurobarometro della Commissione europea, otto italiani su dieci ritengono che debba essere indicato obbligatoriamente nelle etichette dei prodotti un contachilometri che misuri le emissioni di gas ad effetto serra dei prodotti acquistati. Gli italiani, sottolinea la Coldiretti, si dimostrano più interessati al contachilometri ecologico in etichetta rispetto alla media dei cittadini europei. Ben il 37% dei consumatori ritengono inoltre che la distribuzione commerciale dovrebbe fornire maggiori informazioni sui prodotti sostenibili dal punto di vista ambientale ai quali, secondo il 25%, dovrebbe essere dedicato un angolo apposito all’interno dei negozi, mentre il 15% ritiene che debbano essere resi più visibili sugli scaffali. Il messaggio per le aziende è chiaro.
E tutto dentro questi due valori la partita che il settore vitivinicolo gioca sul “bilancio del carbonio”, cioè sul calcolo della quantità di gas serra emesso dalla filiera di produzione del vino. Sempre più di frequente, infatti, la grande distribuzione chiede informazioni o documentazioni sulla “qualità verde” dei prodotti che acquista e, soprattutto nei paesi anglosassoni, sono già in commercio beni con l’indicazione sulle confezioni della quantità di gas serra emesso per la produzione.
«Anche per il vino», spiega Angelo Cichelli, presidente del corso di laurea in Economia ambientale della D’Annunzio, «arriveremo a indicare sulle etichette, inizialmente in maniera non obbligatoria, il bilancio del carbomio, assieme alle tradizionali indicazioni sulla qualità e la tipicità».
Operazione per la verità non facile tecnicamente. Cichelli è il rappresentante italiano all’interno dell’Oiv, l’Istituto internazionale del vino che sta discutendo in questi mesi l’adozione di un protocollo per il calcolo della C02 prodotta nel settore vitivinicolo.
«Per il momento l’unico protocollo disponibile è quello messo a punto da un team di tecnici australiani, neozelandesi e americani», dice Cichelli, «che l’Australia raccomanda come metodologia ufficiale da adottare. L’applicazione del bilancio del carbonio», aggiunge Cichelli «potrà portare a nuove forme di concorrenza a livello regionale. Infatti i consumatori sono sempre più sensibili alle tecnologie verdi e si orienteranno sui prodotti di aree più virtuose dal punto di vista ambientale. Un aspetto negativo potrebbe essere però l’insorgere di nuove forme di protezionismo, che penalizzano i trasporti a grandi distanze, con incentivazione delle produzioni locali».
Per Cichelli è tempo che anche la regione Abruzzo si occupi di questo problema. «Sarebbe importante studiare le caratteristiche delle nostre aziende, sia per quanto riguarda il consumo di energia elettrica che i sistemi di produzione. Ci sono regioni come l’Emilia Romagna, il Trentino e la Toscana, che stanno già investendo in questa direzione. Le stesse cantine potrebbero cominciare a vedere la produzione ecocompatibile come un’opportunità commerciale».
I consumatori italiani sono già pronti a recepire il messaggio. Secondo un’analisi della Coldiretti basata sul rapporto dell’Eurobarometro della Commissione europea, otto italiani su dieci ritengono che debba essere indicato obbligatoriamente nelle etichette dei prodotti un contachilometri che misuri le emissioni di gas ad effetto serra dei prodotti acquistati. Gli italiani, sottolinea la Coldiretti, si dimostrano più interessati al contachilometri ecologico in etichetta rispetto alla media dei cittadini europei. Ben il 37% dei consumatori ritengono inoltre che la distribuzione commerciale dovrebbe fornire maggiori informazioni sui prodotti sostenibili dal punto di vista ambientale ai quali, secondo il 25%, dovrebbe essere dedicato un angolo apposito all’interno dei negozi, mentre il 15% ritiene che debbano essere resi più visibili sugli scaffali. Il messaggio per le aziende è chiaro.