Di Mascio, quando non basta essere bravi
Dieci scudetti e tanti giovani calciatori portati in alto, eppure il Pescara lo ha esonerato.
PESCARA. Un contratto in bianco. Può essere un suicidio o una mossa geniale. Andrea Iaconi, che sa di calcio e di persone, aveva escogitato questo stratagemma per tenersi stretto Cetteo Di Mascio. «Ha sempre scritto una cifra inferiore a quello che saremmo stati disposti a pagargli e che avrebbe preso altrove. Certo, ne aveva di società dietro», racconta Iaconi, ex diesse del Pescara ora al Grosseto in serie B. L’aneddoto dice molto del rapporto tra Di Mascio e il Pescara. Rapporto interrotto a inizio settimana dai nuovi padroni del club. Dove c’erano i contratti in bianco, adesso c’è una scarna lettera di licenziamento. È un segno dei tempi. L’era Di Mascio, però, continua per due motivi lapalissiani. Il primo: l’intero settore giovanile biancazzurro è una sua creatura.
Il secondo: ha pianificato, per il 12º anno di fila, il lavoro stagionale e al suo sostituto, Eusebio Di Francesco, basterà poco per raccoglierne i frutti. Ma perché un manager-allenatore di tale spessore è stato mandato via da una società che dovrebbe puntare sul vivaio? Ci sono tantissime risposte e, probabilmente, in quasi tutte aleggia un pizzico di verità. Il quasi serve a coltivare il dubbio che il Pescara targato Delfino voglia continuare a crescere talenti spendendo l’indispensabile e raccogliendo il massimo. Il tempo dirà. «Ad occhio e croce, con i ragazzi cresciuti da Di Mascio e il suo staff, abbiamo messo su 21, 22 miliardi delle vecchie lire, esclusi i sette incassati grazie alla cessione all’Udinese di Esposito, che da noi era arrivato attraverso altri canali. Il tutto nel periodo di massima crisi finanziaria del calcio italiano e dell’invasione di stranieri a basso costo. Senza il vivaio, il Pescara sarebbe morto ma, paradossalmente, è stata la sua ricchezza ad attirare tanti avventurieri», dice ancora Andrea Iaconi.
Conviene mettere le cose in chiaro: Cetteo non è un mago. Neppure lui potrebbe trasformare un bidone, magari raccomandato da un mammasantissima, nell’erede di Gianni Rivera. Però, come pochi altri sa individuare una traccia di talento e lavorarla. Come pochi altri sa organizzare il lavoro di un gruppo, creare motivazioni, superare gli ostacoli e raggiungere gli obiettivi. Il suo nome può essere tranquillamente accostato a quello di autorevoli professionisti del settore: Favini dell’Atalanta, Ausilio dell’Inter e Vatta, il mitico manager del Torino Cuore-Toro. Però, questi hanno sempre avuto grandi mezzi. E non solo finanziari. Di Mascio e il Pescara si sono fatti strada senza sapere neppure dove recarsi per gli allenamenti. Nel 2001, mentre la prima squadra retrocedeva in C1, il “mister” trascinava la Primavera alla finale scudetto contro la Lazio dal budget plurimiliardario. E lo faceva disputando tutte le partite stagionali in trasferta perché a Pescara non c’erano impianti disponibili.
Non si è mai fatto scrupoli, nei tempi bui, a portare le squadre ad allenarsi allo “spartitraffico”, una striscia di erba malmessa lungo la riviera, di fronte alla stele D’Annunzio, che ora non c’è più. Ci andava perché non aveva un’alternativa. Ci andava perché un professionista non getta mai la spugna. Pescarese fino al midollo, come testimonia il suo nome di battesimo, Cetteo può vantarsi di aver cresciuto due campioni del mondo: Fabio Grosso e Massimo Oddo. La Renato Curi Pescara, ai suoi tempi, era una stratosferica macchina da scudetti. Di Mascio ne ha ben 10 cuciti sul petto. Iaconi e Antonio Oliveri non ci pensarono due volte a investire 300milioni per regalare al Pescara il vivaio che, in seguito a una fusione, era finito a Città Sant’Angelo, nelle mani di Nicola Petruzzi. «La migliore operazione di sempre», ha spesso ripetuto Oliveri. In questi giorni, Di Mascio non parla. Una scelta comprensibile: ha tutto da perdere nel farsi trascinare tra le polemiche.
Parlano, per tutti, i fatti. Rossano Di Lello, il responsabile dell’attività di base del vivaio pescarese, si è dimesso per solidarietà. Sono andati via anche Fausto Coppa, Rocco Colantonio e Roberto Zaramelli , preziosi accompagnatori. Alex Tatomir, Silvano Crisante, Loris Marcello e Gabriele Aielli, invece, hanno ricevuto la lettera di esonero. Qualcuno parla di epurazione dello staff Di Mascio. Non c’è bisogno di alzare i toni: i padroni di un club sono liberi di scegliere i propri uomini. L’avessero fatto a giugno, sarebbe stato meglio per tutti, anche per chi è stato chiamato a raccogliere il testimone.
Il secondo: ha pianificato, per il 12º anno di fila, il lavoro stagionale e al suo sostituto, Eusebio Di Francesco, basterà poco per raccoglierne i frutti. Ma perché un manager-allenatore di tale spessore è stato mandato via da una società che dovrebbe puntare sul vivaio? Ci sono tantissime risposte e, probabilmente, in quasi tutte aleggia un pizzico di verità. Il quasi serve a coltivare il dubbio che il Pescara targato Delfino voglia continuare a crescere talenti spendendo l’indispensabile e raccogliendo il massimo. Il tempo dirà. «Ad occhio e croce, con i ragazzi cresciuti da Di Mascio e il suo staff, abbiamo messo su 21, 22 miliardi delle vecchie lire, esclusi i sette incassati grazie alla cessione all’Udinese di Esposito, che da noi era arrivato attraverso altri canali. Il tutto nel periodo di massima crisi finanziaria del calcio italiano e dell’invasione di stranieri a basso costo. Senza il vivaio, il Pescara sarebbe morto ma, paradossalmente, è stata la sua ricchezza ad attirare tanti avventurieri», dice ancora Andrea Iaconi.
Conviene mettere le cose in chiaro: Cetteo non è un mago. Neppure lui potrebbe trasformare un bidone, magari raccomandato da un mammasantissima, nell’erede di Gianni Rivera. Però, come pochi altri sa individuare una traccia di talento e lavorarla. Come pochi altri sa organizzare il lavoro di un gruppo, creare motivazioni, superare gli ostacoli e raggiungere gli obiettivi. Il suo nome può essere tranquillamente accostato a quello di autorevoli professionisti del settore: Favini dell’Atalanta, Ausilio dell’Inter e Vatta, il mitico manager del Torino Cuore-Toro. Però, questi hanno sempre avuto grandi mezzi. E non solo finanziari. Di Mascio e il Pescara si sono fatti strada senza sapere neppure dove recarsi per gli allenamenti. Nel 2001, mentre la prima squadra retrocedeva in C1, il “mister” trascinava la Primavera alla finale scudetto contro la Lazio dal budget plurimiliardario. E lo faceva disputando tutte le partite stagionali in trasferta perché a Pescara non c’erano impianti disponibili.
Non si è mai fatto scrupoli, nei tempi bui, a portare le squadre ad allenarsi allo “spartitraffico”, una striscia di erba malmessa lungo la riviera, di fronte alla stele D’Annunzio, che ora non c’è più. Ci andava perché non aveva un’alternativa. Ci andava perché un professionista non getta mai la spugna. Pescarese fino al midollo, come testimonia il suo nome di battesimo, Cetteo può vantarsi di aver cresciuto due campioni del mondo: Fabio Grosso e Massimo Oddo. La Renato Curi Pescara, ai suoi tempi, era una stratosferica macchina da scudetti. Di Mascio ne ha ben 10 cuciti sul petto. Iaconi e Antonio Oliveri non ci pensarono due volte a investire 300milioni per regalare al Pescara il vivaio che, in seguito a una fusione, era finito a Città Sant’Angelo, nelle mani di Nicola Petruzzi. «La migliore operazione di sempre», ha spesso ripetuto Oliveri. In questi giorni, Di Mascio non parla. Una scelta comprensibile: ha tutto da perdere nel farsi trascinare tra le polemiche.
Parlano, per tutti, i fatti. Rossano Di Lello, il responsabile dell’attività di base del vivaio pescarese, si è dimesso per solidarietà. Sono andati via anche Fausto Coppa, Rocco Colantonio e Roberto Zaramelli , preziosi accompagnatori. Alex Tatomir, Silvano Crisante, Loris Marcello e Gabriele Aielli, invece, hanno ricevuto la lettera di esonero. Qualcuno parla di epurazione dello staff Di Mascio. Non c’è bisogno di alzare i toni: i padroni di un club sono liberi di scegliere i propri uomini. L’avessero fatto a giugno, sarebbe stato meglio per tutti, anche per chi è stato chiamato a raccogliere il testimone.