Dumoulin, il Tulipano rosa Sogno nato sul Blockhaus
Trionfo olandese: l’ultima crono a Van Emden. Nibali terzo dietro a Quintana
MILANO. Davanti al Duomo di Milano, in un tripudio di colori, passione, affetto, come solo nel ciclismo, sboccia un altro Tulipano, Jos Van Emden, che vince la sfida contro il tempo. Il più felice, ai piedi della Madunina, però, è il Tulipano con gli occhi azzurri e il sorriso da fiction tv: Tom Dumoulin, tornato in rosa al momento giusto, nel giorno e nella location ideale per il coronamento di un sogno. Allora aveva ragione Romano Prodi, quando disse all’Ansa che «il Giro d’Italia è una magia democratica, in grado di trasformare per un giorno qualsiasi villaggio nella capitale del Paese: tutti sono importanti e al centro della scena, come ministri e presidente del consiglio. Basterebbe questo a trovare al Giro un posto speciale nel mio cuore. Ma c’è molto altro».
Quel villaggio diventato Capitale, guardando alla corsa, oggi è Tom Dumoulin. Sul traguardo di Milano ha vinto l’olandese volante e mutante, capace di trasformarsi in una specie di Indurain 2.0. Fino all’ultimo metro, tuttavia, è stata sfida totale e su ogni fronte: a cronometro come sulle vette più alte e leggendarie, in pianura, sulle strade di Sardegna e Sicilia. Il Giro non è finito finché è finito e, se i corridori avessero potuto, c’è da giurare che si sarebbero inseguiti anche da Monza a Milano, dove invece non hanno potuto guardarsi negli occhi come nei giorni dei lunghi coltelli, ma soltanto immaginare la smorfia di fatica del rivale.
Dumoulin ha vinto, perché è stato il più forte e per la sua forma, che è cresciuta di giorno in giorno, dandogli anche ulteriore coraggio e trasmettendogli una ferrea consapevolezza dei propri mezzi. L’olandese di Maastricht, che nel 2015 vide sfumare all’ultimo la Vuelta vinta da Fabio Aru, ha regalato alla propria nazione il primo successo in una grande corsa a tappe e, nel contempo, ha scritto il nome dell’Olanda nell’albo d’oro. Proprio nell’edizione numero 100.
«È incredibile, semplicemente incredibile, non so davvero cosa dire», le sue prime parole, dopo il trionfo, mentre Nairo Quintana doveva ancora tagliare il traguardo della propria prova a cronometro. «Non avrei mai immaginato di vivere tutto questo, è incredibile: però, mi si è gelato il sangue quando ho visto una scritta in sovraimpressione nella tv che indicava Quintana a soli 3 secondi», aggiunge. Il bello del Giro ha cominciato ad accarezzare concretamente il sogno rosa sul Blockhaus, quando è riuscito a limitare il passivo di uno scatenato Quintana a soli 30 secondi, salendo sul gigante della Maiella a velocità quasi doppia rispetto a Nibali e ad altri rivali pericolosi. Dopo il giorno di riposo, Dumoulin, nella crono del Sagrantino, in Umbria, ha praticamente travolto a suon di secondi ciascun avversario, infliggendo distacchi notevoli. Ha indossato la maglia rosa e se l’è tenuta per diversi giorni, salvo poi cederla a Quintana al termine della tappa con arrivo a Piancavallo.
«Avevo lavorato per conquistare un posto sul podio, mi ritrovo vincitore», spiega Dumoulin. «Sono andato bene sul Blockhaus, ma non immaginavo di poter arrivare in fondo». E poi, la dimostrazione di forza sulla salita del santuario di Oropa, con la dedica a Pantani. «Per me è stata una specie di spartiacque», confessa Dumoulin. Che ha perso peso (3 chili prima del Giro), «per andare più forte in salita». E che ha rinunciato a gareggiare, «come avevo fatto gli altri anni», scegliendo «di allenarmi di più». Alla fine, il Tulipano è diventato rosa. Chapeau.
Adolfo Fantaccini
Quel villaggio diventato Capitale, guardando alla corsa, oggi è Tom Dumoulin. Sul traguardo di Milano ha vinto l’olandese volante e mutante, capace di trasformarsi in una specie di Indurain 2.0. Fino all’ultimo metro, tuttavia, è stata sfida totale e su ogni fronte: a cronometro come sulle vette più alte e leggendarie, in pianura, sulle strade di Sardegna e Sicilia. Il Giro non è finito finché è finito e, se i corridori avessero potuto, c’è da giurare che si sarebbero inseguiti anche da Monza a Milano, dove invece non hanno potuto guardarsi negli occhi come nei giorni dei lunghi coltelli, ma soltanto immaginare la smorfia di fatica del rivale.
Dumoulin ha vinto, perché è stato il più forte e per la sua forma, che è cresciuta di giorno in giorno, dandogli anche ulteriore coraggio e trasmettendogli una ferrea consapevolezza dei propri mezzi. L’olandese di Maastricht, che nel 2015 vide sfumare all’ultimo la Vuelta vinta da Fabio Aru, ha regalato alla propria nazione il primo successo in una grande corsa a tappe e, nel contempo, ha scritto il nome dell’Olanda nell’albo d’oro. Proprio nell’edizione numero 100.
«È incredibile, semplicemente incredibile, non so davvero cosa dire», le sue prime parole, dopo il trionfo, mentre Nairo Quintana doveva ancora tagliare il traguardo della propria prova a cronometro. «Non avrei mai immaginato di vivere tutto questo, è incredibile: però, mi si è gelato il sangue quando ho visto una scritta in sovraimpressione nella tv che indicava Quintana a soli 3 secondi», aggiunge. Il bello del Giro ha cominciato ad accarezzare concretamente il sogno rosa sul Blockhaus, quando è riuscito a limitare il passivo di uno scatenato Quintana a soli 30 secondi, salendo sul gigante della Maiella a velocità quasi doppia rispetto a Nibali e ad altri rivali pericolosi. Dopo il giorno di riposo, Dumoulin, nella crono del Sagrantino, in Umbria, ha praticamente travolto a suon di secondi ciascun avversario, infliggendo distacchi notevoli. Ha indossato la maglia rosa e se l’è tenuta per diversi giorni, salvo poi cederla a Quintana al termine della tappa con arrivo a Piancavallo.
«Avevo lavorato per conquistare un posto sul podio, mi ritrovo vincitore», spiega Dumoulin. «Sono andato bene sul Blockhaus, ma non immaginavo di poter arrivare in fondo». E poi, la dimostrazione di forza sulla salita del santuario di Oropa, con la dedica a Pantani. «Per me è stata una specie di spartiacque», confessa Dumoulin. Che ha perso peso (3 chili prima del Giro), «per andare più forte in salita». E che ha rinunciato a gareggiare, «come avevo fatto gli altri anni», scegliendo «di allenarmi di più». Alla fine, il Tulipano è diventato rosa. Chapeau.
Adolfo Fantaccini