CALCIO

Junior: torno volentieri, qui è la mia seconda casa 

L’ex campione biancazzurro degli anni Ottanta: «Il calcio italiano sta perdendo appeal Da noi due Mondiali senza gli azzurri sono un disastro per l’audience delle tv»

PESCARA. Appena ha messo piede in un negozio del centro, un paio di giorni fa, il titolare, dopo averlo fissato a lungo, gli si è avvicinato e, rompendo gli indugi, ha chiesto: “Scusi, ma lei è Leo Junior?”. Il campione senza tempo, allargando un sorriso, ha risposto di sì. «Posso farle vedere una foto che conservo sul mio cellulare? Eravamo io e lei allo stadio. All’epoca avevo dieci anni…».

È iniziata così l’ennesima vacanza a Pescara della stella brasiliana che ha illuminato l’Adriatico dall’87 all’89, nelle due stagioni di serie A più belle di sempre. Per Leo Junior 62 presenze e 6 gol con il Pescara. E un amore infinito tra lui e la città. La tradizione di passare qualche giorno sulla spiaggia pescarese resiste, anche adesso che ha 69 anni. «A parte gli anni del Covid, sono sempre tornato d’estate», dice Leo. A trent’anni dalle ultime partite con la maglia biancazzurra, ancora oggi in tanti lo fermano per strada per una foto ricordo. «È sempre una soddisfazione. I giovani? Se sono insieme ai genitori, si avvicinano perché i padri magari gli raccontano le nostre imprese. Invecchiare non mi fa paura: sono stati anni bellissimi».
Junior, il Pescara a giugno ha perso la semifinale per tornare in serie B.
«Ho seguito l’anno scorso e ho visto la partita dei play off contro il Foggia; purtroppo le cose non sono andate come speravamo tutti. Stavo vedendo la diretta da un link e ad un certo punto si sono interrotte le immagini, quando mi sono ricollegato ho scoperto che avevamo perso ai rigori».
Riuscirà a tornare in B con una squadra imbottita di giovani?
«Sono sulla strada giusta. Dagli errori che sono stati commessi l’anno scorso bisogna imparare per migliorare. Riguardo ai giovani, è un discorso che si sta facendo dappertutto. I club che non hanno capitali devono puntare su ragazzi che abbiano fame e voglia di emergere».
Zeman le piace?
«Ha più di settant’anni, l’età avrà un peso, ma le capacità non si discutono. L’anno scorso è subentrato e ha fatto abbastanza bene».

La società del presidente Sebastiani non riesce a trovare investitori per progettare un futuro stabile nel grande calcio.
«È un problema per Pescara, ma non sarebbe giusto da parte mia dire perché il presidente è da solo al comando. Sebastiani è al vertice ormai da tanti anni, è un appassionato. Ora bisogna fare una struttura di prima squadra con gli under. So che i tifosi non vogliono sentirne parlare, sono esigenti e vorrebbero vincere. Ma oggi è così. Forse è anche un po’ colpa nostra, che qualche anno fa vi abbiamo fatto divertire tantissimo (risata, ndc)... Bisogna davvero allestire una squadra che sappia andare al di là di qualsiasi pronostico. Questo qui è successo in serie A e in serie B. Perché non pensare di potersi ripetere anche in C?».
Pochi abbonati, un migliaio circa, ma nelle partite importanti all’Adriatico ci sono ancora più di ventimila spettatori.
«Il tifoso pescarese, se si escludono i due anni incredibili di serie A che abbiamo vissuto noi, si basa da sempre sui risultati della squadra. Una buona media per questa città sarebbe di diecimila spettatori, ma nessuno vuole spendere soldi se non trova soddisfazione e piacere: un abbonamento costa, le persone vogliono capire prima se avranno un ritorno in termini di vittorie e divertimento».
Leo Junior dopo la carriera da calciatore non si è dedicato a ruoli di campo. Perché?
«Ho ricevuto la convocazione del Flamengo (con cui ha vinto diversi campionati, una Libertadores e una Intercontinentale, ndc). Due parentesi, dopo vent’anni da calciatore, ma bisogna avere un dono per allenare. Poi ho fatto il ds nel 2004, e mi piaceva. L’esperienza, però, è stata negativa: faticavo a sopportare certi discorsi dei calciatori e dei procuratori. Tutto era cambiato».
Ha mai ricevuto una chiamata per tornare in Italia?
«Mai. Né qui né a Torino. Ma avrei detto di no».
In tv, in veste di opinionista, è invece un colosso del calcio brasiliano.
«Da venticinque anni lavoro nella più grande tv del Brasile. Sono il decano. Ma l’anno prossimo compirò 70 anni, voglio togliere il piede dall’acceleratore e dedicare più tempo alla famiglia. Ho un nipotino e voglio godermelo. Credo che dopo i prossimi Mondiali, nel 2026, mi fermerò. Avrò più tempo per andare in giro. Pescara? È la mia seconda casa. Per venire qui in vacanza ci sarà sempre uno spazio libero nel mio calendario…».
Il calcio italiano come sta?
«Pensate che da noi hanno fatto vedere la Premier, la Liga e la Ligue1. La serie A ha perso appeal. I protagonisti del calcio brasiliano qui non ci sono più».
Colpa di una Nazionale fuori dagli ultimi due Mondiali.
«Dopo aver vinto l’Europeo, è stato incredibile non qualificarsi. Perdere in casa contro la Macedonia del Nord è stato grave. Per noi in tv in Brasile, un Mondiale senza Italia è un disastro per l’audience».
Il problema sono i troppi stranieri che tolgono spazio ai giovani italiani?
«Sì, ma esiste solo qui. Anche in Francia ci sono tanti stranieri, perché lì non sono un problema? Lì giocano anche i giovani francesi. E così la Nazionale ha la certezza di essere competitiva. L’under 21 italiana da quanti anni non vince? Ai miei tempi gente come Francini, Cravero e altri venivano da una Under vincente e sono stati protagonisti in serie A. Il Brasile vince spesso con le under 16, 20 e non solo. Se porti stranieri, non porti sempre qualità».

L’esplosione dei club arabi sta rivoluzionando la geografia del calcio.
«Stanno cercando di cambiare l’immagine del loro mondo, ma è difficile. I Mondiali in Qatar dimostrano che, pagando, rendono tutto possibile. Guardate Neymar: gli hanno offerto un contratto surreale, a 31 anni come fa a dire di no? Non so se sarà un fenomeno duraturo nel tempo. Se così fosse i club di quei Paesi diventerebbero un ostacolo, visti i soldi che hanno».
Orlando D’Angelo
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