Le cento volte del Barone senza paura

Esordì nel 2000, oggi l’omaggio di Murrayfield In campo da solo per un applauso infinito

INVIATO A EDIMBURGO. Andrea Lo Cicero Vaina, il Barone siciliano che punta, come un nobile di inizio 900 a eccellere in più discipline – nel mirino c’è la vela nell’Olimpiade di Rio – si conferma incontenibile e unico nell’esuberanza dialettica, in un rugby italico ancora povero di glamour sportivo. Oggi taglierà il traguardo delle 100 presenze: una vetta altissima: fra gli azzurri Alessandro Troncon fino a oggi aveva l’esclusiva e si è fermato a 101 “cap”. E sono solo sei i giocatori dei Sei Nazioni ad avercela fatta; non si va molto più in là (19) in tutto il mondo. Un tal Richie McCaw, per citare, ci è arrivato dopo un decennio pazzesco soltanto nel 2011. A quote spaziali c’è George Gregan, australiano nativo dello Zambia a 139 “cap”.

L’onore della passerella. Dunque onore ad Andrea Lo Cicero che nella sua carriera, pur avendo mancato l’azzurro due anni (nel biennio 2009-2010 per scelta tecnica di Nick Mallett) può ora sprintare e superare Tronky già nel torneo. Oggi avrà l’onore di mettere la freccia nel tunnel di Murrayfield, superare capitan Parisse, ed entrare da solo in campo per un applauso infinito di tutti gli spettatori. Per lui scarpette, calzoncini e manica con la cucitura speciale “100 barone”. Cucitura di maglia per i 50 cap anche per il padovano Ghiraldini. E non è l’unico record per il pilone del Racing Parigi: Lo Cicero è rimasto l’unico giocatore azzurro presente già nell’edizione inaugurale del 2000. Non partì titolare all’inizio, lo fu nelle ultime tre partite. Le prime due furono appannaggio di Massimo Cuttitta, un signore che in coppia con Franco Properzi creò la leggenda dei piloni italiani da esportazione e oggi avversario sulla panchina scozzese.

L’orgoglio del Barone. Lo Cicero è giustamente orgoglioso: «Questo traguardo significa che per 100 volte, e potevano essere di più, ho rappresentato il mio Paese. A questo punto non ho nessun sassolino da togliermi, quelli li ho schiacciati tutti». Troppo facile il riferimento, ma Lo Cicero deve a uno dei suoi critici la sua seconda giovinezza. Leggendario un suo scambio con l’allora ct Pierre Berbizier nel 2007 che gli preferiva Perugini, Castro e Chiango Nieto e allevava Staibano. Si lamentava di essere considerato il quarto del gruppo e l’altro lo fulminò: «Non guardare avanti, ma occhio al quinto dietro le spalle». Poi il tecnico lo chiamò a Parigi con il Racing e, nel lasso di mesi, arrivò il titolo di miglior pilone di Francia e la riconvocazione in azzurro. «Entrando in campo ci sarà tanta emozione, perché gioco da una vita ma ancora la sento come la prima volta quando suona l'inno perché sono orgoglioso di essere italiano».

Il debutto. E la prima volta? «Contro l’Inghilterra ero teso, non dormii tutta la notte. Il discorso del ct Brad Johnstone? “Sei pronto?”, “Sì”, “Ciao”. Indimenticabile. E poi in campo: primo tempo a sinistra, secondo a destra. Accanto Massimo Cuttitta, il mio idolo. Il massimo».

Le delusioni. Il momento peggiore? «Quando con il Racing ho preso una ginocchiata terrificante e ho fatto tre giorni di rianimazione».

Rugbista per caso. Cento volte e oggi l’incontro con la storia del rugby: e pensare che da ragazzo faceva canoa, lotta grecoromana, pallanuoto e cominciò per caso con la palla ovale.

Il futuro. E dopo, cosa farà? «Alla fine del Sei Nazioni comunicherò sul mio sito ciò che sarà della mia carriera. E risponderò alle domande sul futuro. Ma tornerò in Italia, anche se all’estero è vista come una barzelletta. Siamo il paese delle prostitute e degli scandali. Ma a chi mi dice di rimanere in Francia perché si vive meglio, io dico che invece bisogna tornare». Unico, incontenibile Barone.

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