miti dello sport
Nino Benvenuti: la mia boxe era fame e aggressività
Intervista al campionissimo del pugilato italiano in occasione dei suoi 80 anni: "Griffith da rivale è diventato un amico, come Monzon"
ROSETO. Oggi Nino Benvenuti, un’icona della boxe italiana, compie 80 anni. Ieri è stato a Roseto per presenziare alle finali degli Europei Youth e alla vigilia del compleanno si è raccontato al Centro.
Benvenuti, il bilancio dei suoi 80 anni?
«Sono felice, è bellissimo esserci arrivato in queste condizioni. L’età non mi impressiona affatto. Sono tanti, ma sono pochi considerando quelli che vorrei ancora vivere».
Che obiettivo si pone?
«Spero di riuscire a vivere i prossimi anni come ho trascorso gli ultimi, con le stesse gioie e togliendomi più o meno altrettante soddisfazioni. Scherzi a parte, non credo di poter vivere ancora così a lungo».
Lei è nato nell’isola di Istria, cosa le è rimasto dentro?
«Sono nato e cresciuto lì, fino a 13 anni. Ho concluso le scuole medie e poi abbiamo dovuto abbandonare la nostra terra a causa della guerra. Ci hanno occupato casa e ce ne siamo dovuti andare, dopo aver vissuto anni meravigliosi. Vivevo ad Isola, un paese fantastico di seimila abitanti sul mare, che oggi in realtà è una penisola. Infatti, col passare degli anni si è congiunta per una parte con la terraferma, ma ha mantenuto il nome originario».
Al di là della conquista dell’oro olimpico a Roma nel 1960, è entrato e rimasto nel cuore degli italiani per le battaglie col compianto Emile Griffith.
«Senza dubbio quello è stato il periodo più bello della mia carriera sportiva perché ho avuto la fortuna di affrontare e battere un grande avversario, un pugile veramente molto bravo. Di gente brava ne ho affrontata tanta, ma lui aveva qualche cosa di più e meritava di essere il campione del mondo. Poi, sono arrivato io e mi sono preso quell’alloro a cui teneva tanto. Gli ho portato via il titolo, me lo sono goduto, cercando poi di mantenerlo e di curarlo al meglio, col rispetto dovuto alle cinture iridate».
Con il passare degli anni si è poi creato un bel rapporto fra voi due, al punto da diventare grandi amici.
«Emile era una persona adorabile, educata. Con persone così garbate si ha il piacere di colloquiare, di stare assieme e di fraternizzare. Infatti siamo diventati proprio dei fratelli».
Che rapporto ha avuto invece con Carlos Monzon, l’uomo che le portò via il titolo?
«Diverso perché lui veniva da un’altra educazione, da un’altra estrazione sociale. Un modo di vivere che non aveva nulla a che vedere con quello mio. E lui non poteva essere felice di vivere in una maniera simile, ma era quella che gli toccava vivere e provava a gestirla. Non poteva fare diversamente».
È diventato amico anche con lui, al punto da fargli visita più volte in carcere, dove stava scontando la pena per aver strangolato la moglie Alicia Muniz la notte di San Valentino del 1988.
«Sì, col passare degli anni siamo diventati amici fraterni e abbiamo mantenuto il nostro bel rapporto anche nel periodo in cui lui era in galera».
Come le ha cambiato la vita la conquista dell’oro olimpico nel 1960?
«In una maniera stupenda. L’Olimpiade è l’élite per un pugile dilettante. Io volevo essere pedissequamente un dilettante puro, rispettando tutti i crismi, anche per fare un esame di coscienza e stare bene con me stesso. Lo sono stato per oltre 100 match. Esattamente, una sola sconfitta subita da dilettante su 121 incontri. A volte capita di trovarsi di fronte giudici non impeccabili, che possono dare vita a dei verdetti che lasciano stupefatti. Può succedere a chiunque e quella volta è capitato a me. Capita che mi venga ricordata questa macchia, ma io l’ho completamente rimossa, proprio dimenticata».
Quali sono le grandi differenze fra il pugilato odierno e quello dei suoi tempi?
«C’era più aggressività, un impeto e uno spirito di combattimento che oggi non c’è, quanto meno non a quei livelli. Per noi era una vera e propria ragione di vita quella di prevalere sull’avversario e non c’era nulla che si potesse paragonare alle gioie ottenute con quei successi».
Il pugilato italiano esce da questi Europei Youth galvanizzato per i risultati ottenuti in ambito giovanile.
«Sì, questo di Roseto è stato proprio un bel torneo che ho seguito con attenzione anche nei giorni scorsi. Faccio i complimenti a tutti».
Piergiorgio Stacchiotti
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