Riccioni: «Questa terra nel mio cuore» 

Il pilone teramano dell’Italrugby all’Aquila per preparare il “Summer Tour”

L’AQUILA . L'allenamento della nazionale italiana di rugby allo stadio Tommaso Fattori dell'Aquila è appena finito. I giocatori si avvicinano ai tifosi per gli autografi. In un angolo del campo, un giocatore in maglia azzurra sta invece parlando con dei bambini. Qualcuno alza la mano per fare domande, e lui risponde. Da lontano si vede che agita le braccia. Con quelle stesse braccia, durante la partita deve sollevare in aria il compagno che cerca di prendere la palla nella touche, la rimessa laterale del rugby. E con il resto del corpo dovrà sostenere la spinta di quegli "omoni" compagni di squadra che cercheranno di contendere palla e terreno agli altri 8 omoni della squadra avversaria. La lezione è finita, il giocatore si alza. Il pubblico dietro le transenne lo chiama, "Riccio, Riccio". Sono qui solo per lui.
Le origini. Per l'anagrafe Marco Riccioni, 26enne pilone della nazione italiana, è nato a Pescara, ma lui è in tutto e per tutto teramano. Si avvicina sorridente. Nella breve intervista al Centro racconterà di essere «fidanzatissimo e fedelissimo. Lei è di Milano». È una notizia che non farà felici le fans. «Se Teramo è la mia prima casa, L'Aquila è la seconda», racconta il pilone dell’Italia. «In questo stesso stadio ho giocato una semifinale del campionato under 16, quando giocavo nelle file della Polisportiva L'Aquila rugby». "Erano i tempi di «Zappò, (Maurizio Zaffiri, terza ala dell'Aquila rugby - ndr) e io venivo qui a vedere giocare L'Aquila rugby 1936».
Il volo. Dopo L'Aquila, Riccioni ha letteralmente preso il volo. Prima Roma e poi Calvisano. Persa la prima finale scudetto, ha conquistato il suo primo scudetto nel 2016. Poi Benetton, a Treviso, la prima convocazione in nazionale nel 2019, il passaggio in Inghilterra con i Saracens e una Premiership inglese nella stagione 2022-2023. Mentre racconta, si guarda intorno. «È bello tornare in questo stadio e in questa città. L'Aquila è sempre stata una piazza storica del rugby, e poi tornare in Abruzzo, e comunque in Italia, è sempre bello. Basta guardare la montagna di gente che è qui per noi». La domanda è d'obbligo, la differenza tra il rugby d'oltre Manica e quello italiano. «La cultura», risponde. «Lì bambini giocano a rugby fin dalla scuola, e nessuno ha paura che si facciano male». «È normale che il calcio debba rimanere il primo sport in Italia. Ma noi ci stiamo provando, la Fir, la federazione italiana gioco rugby, sta cercando di avvicinare quanti più giovani al mondo del rugby».
Gli obiettivi. La carriera di Riccioni ha avuto una fase di rallentamento a causa di qualche infortunio. «Credo di aver pagato il conto con la sfortuna. Sono pronto e devo ringraziare l'allenatore Gonzalo Quesada che mi ha aggregato anche quando non ero al massimo della forma. Ho lavorato tanto per tornare a far parte di questo gruppo». L'Italia del rugby, quest'anno, ha ben figurato nel Torneo delle Sei Nazioni, la più importante rassegna rugbistica europea. Gli azzurri sono finalmente riusciti a lasciare il "cucchiaio di legno" al Galles. Del "cucchiaio di legno", viene infatti simbolicamente insignita la squadra che, al termine di una edizione di torneo, occupa l'ultimo posto in classifica. Al termine della breve intervista, per un ragazzo che vive in Inghilterra, c'è un'altra domanda d'obbligo. Cosa gli manca più dell'Italia. La risposta è scontata: «il cibo».
Raniero Pizzi
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