PALLA AL CENTRO
Se le regole valgono solo per gli altri
Nessuno, ma proprio nessuno, si è fatto mancare un commento sulla morte dell’ultrà Davide Belardinelli, mercoledì sera. Tutti con una ricetta, un consiglio o un’analisi sociologica. Va così al tempo dei social, purtroppo. Parlano tutti. Nemmeno il tempo di comunicare la morte di un padre di famiglia che è iniziato il tam tam. Addirittura c’è chi ha mischiato un problema di ordine pubblico avvenuto più di un’ora prima della partita a due chilometri dal Meazza con gli ululati razzisti all’interno dello stadio, scecherandolo con qualche decisione arbitrale. Qualunquismo e superficialità. Un’ordalia di commenti in un pollaio, il più delle volte faziosi, perché il tifo non appartiene solo al calcio. Ha invaso le istituzioni e la società civile al motto: la legge vale sempre per gli altri, per se stessi va interpretata. Ogni analisi è mirata a difendere il proprio orticello e rimbalzare la palla in quello del vicino. E, quindi, andrebbe rimesso il pallone al centro, sforzandosi di essere lucidi. Partendo da un presupposto: il calcio è lo sport più popolare e quindi riflette lo stato sociale e quelli che sono i problemi di un Paese diviso su tutto e animato da rancori. Fatta questa premessa, i problemi di ordine pubblico vanno risolti dallo Stato. Il calcio non deve far altro che cercare di stemperare gli animi, sin troppo agitati. E, invece, tutti, ma proprio tutti, alimentano polemiche e rancori. Tutti gridano al complotto. Sì, perché c’è chi si è messo in mente che solo urlando potrà vedersi riconosciuti i propri diritti e quindi è una lotta a chi la spara più grossa. Così facendo si genera confusione. E questo significa che c’è scarsa credibilità nelle istituzioni. Ma la madre di tutti i problemi non risiede nel mondo del calcio, in cui nessuno fa niente per darsi una regolata, ma in un Paese che si ciba di odio e divisioni. Dove non esiste il rispetto per il pensiero altrui. Dove il rivale è un nemico. E dove lo straniero viene visto come uno che ruba da mangiare. In un contesto del genere perché meravigliarsi della discriminazione razziale e territoriale che rimbomba negli stadi? È la logica conseguenza di un contesto sempre meno civile e sempre più alla deriva. Un problema di cultura, sportiva e non. Un problema del Paese, non solo del calcio.
@roccocoletti1.
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