L'ALLENATORE GIULIESE IN VETRINA
Silenzio, umiltà e bel gioco: Giampaolo vede il Diavolo
Lanciato da Buffoni a Giulianova, ora al Milan con la benedizione di Arrigo Sacchi
GIULIANOVA. Se c’è una persona che Marco Giampaolo deve ringraziare per avergli agevolato la carriera di allenatore, questa si chiama Adriano Buffoni, che oggi, a 78 anni, si gode la pensione in Liguria. Era l’estate del 2001 e il tecnico era subentrato in corsa alla guida del Giulianova in serie C1 nella stagione precedente. Cercava un vice che lo potesse aiutare e visto che in passato aveva allenato anche il Pescara, in B, chiese informazioni e gli fu fatto, da Andrea Iaconi, il nome di Marco Giampaolo fresco di apprendistato in biancazzurro. Buffoni si accorse ben presto che Marco Giampaolo non sarebbe stato un semplice vice, perché aveva curiosità e spirito di iniziativa superiori alla media. All’epoca Buffoni aveva 61 anni e Giampaolo 34. In squadra, invece, c’era gente navigata.
Gli inizi con Buffoni. Sin dal ritiro il lavoro di campo veniva portato avanti da Giampaolo. Buffoni osservava e lasciava fare, a volte interveniva. I senatori della squadra all’inizio guardavano con scetticismo la strana coppia in panchina. Poi, mano a mano, vennero conquistati da Giampaolo che già da allora predicava lo sviluppo del bel gioco e passava tempo a studiare le soluzioni adatte al gruppo. A quei tempi, le fissazioni erano l’equilibrio della squadra e lo sviluppo del 4-4-2. L’ossessione era il gioco sulle fasce: i gemelli Del Grosso erano i terzini, dopodiché a destra c’era Ambrosino e a sinistra Ferrigno. Giampaolo lavorava per rendere incisiva la squadra sulle corsie laterali. Era un bel Giulianova, quello allestito dal patron Quartiglia, finì al quinto posto e mancò i play off per la B per gli scontri diretti a sfavore con il Lanciano. Era un Giulianova in precario equilibrio nello spogliatoio, tra napoletani e non. L’abilità di Buffoni alla lunga venne piegata dalla litigiosità di un gruppo lacerato. Durante la stagione la voce uscì fuori dal recinto di gioco. «Lì fa tutto il secondo, Marco Giampaolo. È lui il segreto», il vociferare che non intaccava lo spessore di Buffoni, il quale rilanciava. «Sto allevando un grande allenatore». Quel Giulianova andò in frantumi, vittima di una guerra interna tra bande.
Treviso e poi l’Ascoli. Giampaolo proseguì nel lavoro nell’ombra, questa volta a Treviso (promozione in B) con Aldo Ammazzalorso. Lo stesso copione. Ad Ascoli la coppia si dissolse. Presero Marco Giampaolo che non aveva il patentino, ma ormai era da considerare l’allenatore a tutti gli effetti. Aveva bisogno del prestanome e in distinta figurava Massimo Silva, una vecchia gloria bianconera. Il caso venne a galla e arrivò la squalifica per il tecnico giuliese. Ascoli in A con relativa salvezza, squadra compatta e lineare nello sviluppo del gioco.
Sacchi stregato dal giuliese. A tal punto che desta la curiosità di Arrigo Sacchi, all’epoca direttore tecnico del Parma. Si informa su chi era l’allenatore e gli spiegano che il suo nome è Massimo Silva, ma il lavoro sul campo è di questo giovane che non riesce a essere ammesso al supercorso di Coverciano. Il clamore della vicenda Giampaolo fa sì che poi arriva la possibilità di prendere il tanto sospirato patentino. Dando quindi la possibilità al fratello d’arte di mettersi in proprio. Uno studioso di calcio, questo è Marco Giampaolo. Non a caso è uno dei prediletti di Sacchi. È vero che al Milan è stato scelto da Paolo Maldini, ma è stato l’Arrigo da Fusignano a fugare ogni dubbio e a dare la spinta decisiva.
Il sogno bianconero sfumato. La stessa che probabilmente è mancata dieci anni fa quando Marco Giampaolo è stato sul punto di sedere sulla panchina della Juventus. La storia è arcinota: la cena a casa di Blanc, all’epoca dg bianconero, la telefonata di Alessio Secco che gli fa capire che era fatta. E poi il giorno dopo la scoperta che la Juve aveva scelto Ferrara grazie alla spinta della vecchia guardia.
Dalla strada alla Scala del calcio. Oggi pensa a come fare grande il Milan, ma da piccolo aveva simpatie nerazzurre. Erano i tempi della grande Inter che faceva incetta di trofei. Un ragazzo cresciuto per le strade di Giulianova. Non a caso sostiene che non c’è miglior campo di allenamento della strada per affinare le qualità tecniche.
Mica facile controllare la palla tra le buche o in mezzo alle macchine parcheggiate? Lui non è andato oltre una stagione in serie B, ad Andria (con Massara oggi suo direttore sportivo). Era l’Andria di Sonzogni, uno che stravedeva per Marco Giampaolo centrocampista. Buoni piedi, ma poco dinamico. Una carriera spesa sui campi di serie C con problemi fisici che lo hanno indotto ad appendere le scarpe al chiodo a circa 30 anni. Non aveva tempo da perdere lui che era già un allenatore in campo. E fu proprio quella la strada intrapresa all’ombra di Andrea Iaconi, all’epoca direttore sportivo del Pescara. Lui, Marco Giampaolo, parla poco e ascolta molto. È educato e rispettoso, ma non per questo privo di personalità. Prima osservatore, poi allenatore in seconda. È una spugna, assorbe tutto. Conosce Galeone, lavora con Delio Rossi proprio mentre a Pescara gioca anche Federico Giampaolo, il fratello più piccolo. Sa stare nel gruppo Marco. E nell’estate del 2001 a Giulianova – la sua Giulianova, nonostante all’anagrafe risulta essere nato a Bellinzona, in Svizzera – inizia un’avventura (al fianco di Buffoni) che lo ha portato fino al Milan. È nato in Svizzera, ma a Giulianova ha vissuto sin da quando aveva un anno. I genitori erano andati a cercare fortuna all’estero, ma sono tornati poco dopo. In città, specialmente in quell’epoca, si mangia pane e pallone. Lui non sfugge alla moda che è anche la sua passione. All’epoca non c’erano tante alternative. E ben presto passa dalla strada al settore giovanile del Giulianova.
Una famiglia nel pallone. Nella stagione 1986-87 è in prima squadra insieme al fratello Federico. Che è un 10, al contrario di Marco che è un regista. All’epoca il più famoso è Federico che non a caso ha fatto le giovanili della Juve e ha giocato anche in A, pur avendo speso la maggior parte della carriera in B. Oggi, invece, Marco è al Milan, mentre Federico si appresta a cominciare la stagione alla Recanatese (in serie D) dopo l’esperienza a Avezzano. Fratelli uniti, nonostante la distanza, visto che Marco ha stabilito il suo quartier generale a Giulianova, mentre Federico si è spostato a Bari avendo sposato una barese. Difficile ricordare di un Giampaolo fuori di sé. Normalmente è pacato e riflessivo. Nel tempo ha fatto tesoro degli errori commessi.
Silenzioso e coerente. Parla poco, ma è pungente. Umile e determinato. Resiliente. Un uomo dalla schiena dritta, che non ne vuol sapere di piegare la testa agli ultrà quando a Brescia tutti gli consigliano di farlo. Lui dice no, lo fa a testa alta, a costo di passare per depresso quando addirittura viene scomodata la trasmissione “Chi l’ha visto?” per cercarlo. È il punto più basso di una carriera che viene salvata da Gigi Simoni, nel 2014, che lo chiama a Cremona in serie C. Accetta perché sa di non avere alternative e perché sa che c’è gente che lo fa lavorare come vuole lui. Poi - è storia più recente – viene resuscitato in A dal ds Carli che, seguendo l’indicazione di Maurizio Sarri, lo porta a Empoli. «Per me è come se mi avessero liberato da un ergastolo», dice Giampaolo alla presentazione. Da lì, salvezza senza patemi d’animo, facendo meglio dell’anno precedente quando c’era il tecnico nel frattempo passato al Napoli, e subito lo smarcamento. Prima della fine della stagione ufficializza l’addio e arriva la chiamata della Sampdoria dove rimane per tre anni, restando imbattuto nei derby con il Genoa, valorizzando fior di giocatori che hanno fruttato plusvalenze milionarie a Ferrero, e affermandosi ad alti livelli. Fino a meritarsi la chiamata al Milan.
@roccocoletti1.
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