sei nazioni
Sprofondo azzurro, il 29-0 scozzese pone fine all'agonia
L'Italrugby ha creato tanto ma commesso errori pesanti. Settimo cucchiaio di legno: umiliazione ingiustificabile
«Bisogna mettersi l’ego in tasca e lavorare innanzitutto per la Nazionale, saranno scelte dure da accettare ma non c’è altra via. Nell’ordine Nazionale, franchigie, settore giovanile. In altri Paesi come Irlanda, Galles, Scozia sono stati cancellati club storici ma questa è la via. Bisogna fare come l’Argentina nel Mondiale del 1999».
Così il ct azzurro Conor O’ Shea: la cura prima dell’analisi, prima del bilancio sul suo primo Sei Nazioni finito a zero punti, con nessun bonus difensivo conquistato, quattro quelli concessi che sgranano la classifica ma degli altri, con un 29-0 finale incassato in un Murrayfield gremito (67.144 spettatori). Risultato gemello di un ko a Roma contro la Francia nel 2015. Con la Scozia s’è spezzata la striscia di 10 match con gli azzurri sempre in meta. E per chiuderla con la statistica, un triplo ko con Under 20 e Femminile come non accadeva dal 2009.
Conor O’Shea lucido nella diagnosi arriva in sala stampa incapace di accettare un verdetto di zero punti sul tabellone che rende ancora più pesante il settimo cucchiaio di legno azzurro. Del resto l’Italia ha creato molto e sprecato tutto. Tre piazzati sbagliati da Canna nel primo tempo, maul avanzanti e fermate sulla linea di meta, un vantaggio numerico con un parziale di 0-0, due azioni al largo con Esposito fermato entrambe le volte in meta da Hogg. Tante occasioni vanificate e spreco di energia mentale. Mentre ogni volta che la Scozia si affacciava sul campo azzurro tornava con punti. E nonostante questo Parisse e compagni hanno messo sempre la testa avanti, come al rientro dalla pausa sul 15-0: la maul azzurra ha portato a spasso gli scozzesi e trovando il giallo a capitan Barclay per ostruzione su Parisse, ha imposto la propria presenza per minuti su una fettuccia di cinque metri. Secondo dopo secondo, gli scozzesi si sono immolati e quando Canna ha provato ad allargare con un sovrannumero spaventoso per l’ala Esposito la palla è arrivata talmente lenta che Stuart Hogg ha potuto abbracciare l’azzurro e lasciarsi cadere mettendo le braccia fra ovale e meta. È venuto giù lo stadio. E infine, al rientro di Barclay su una touche è bastato il lasso di un’azione per trovare con Visser la meta del 22-0. Dalla possibile rimonta a fine delle trasmissioni. Fortunosa meta però meritata, pur nata su uno spiovente che Venditti ha raccolto per primo ma non trattenuto, su cui Padovani ha fatto da sponda involontaria e in agguato l’ala avversaria si è trovata pronta per toccare a terra. L’ultima meta di Seymour al 72’ mentre è il pubblico a esibirsi in una mastodontica hola, ha solo misurato il momento in cui l’Italia ha gettato la spugna.
«È difficile da accettare» ha ribadito Parisse. Ed è incredibile da credere: solo con i piazzati e i drive potenti della mischia, il primo tempo avrebbe dovuto chiudersi in parità. E non ci sarebbe stato nulla da ridire. Così dopo la partita della non ruck con gli inglesi e del non placcaggio contro i francesi, è arrivata quella in cui non si segna. Cosa si può dire, ad esempio, a Canna del suo primo tempo, uno che sinora aveva sbagliato un solo piazzato nel torneo? Ma provate a pensare a una mischia che sputa sangue per mangiare metri, guadagna due “rigori” da rimettere l’Italia subito in partita e torna indietro con le pive nel sacco. Per giunta gli avversari ti puniscono due volte per placcaggi sbagliati come Finn Russell a sgusciare fra Benvenuti ed Esposito.
E pensate di avere un pack dominante che percorre metri ma impotente negli ultimi 10 centimetri. L’intensità c’è stata, ma alimentata con energia nervosa. Entrambi i team sono arrivati all’ultimo incontro con la benzina in riserva. Alla Scozia serviva vincere per la classifica, non solo per salutare Vern Cotter commosso nel saluto a un pubblico che da tre anni ha ritrovato l’orgoglio di una nazione. Sul collega neozelandese che, analogamente a lui, aveva vissuto il primo Sei Nazioni nel 2015 con un cucchiaio di legno ma poi ha svoltato nel mondiale, nei test e nel ranking, O’Shea fa i complimenti: «Ha imparato sulla sua esperienza, però ha goduto della congiuntura di un Glasgow esploso in Pro 12».
Un anno e dieci ragazzi debuttanti dopo, O’Shea riesce a vedere ancora la parte piena del bicchiere nella crescita di alcuni singoli, di un impegno mai mancato (ma senza mai toccare gli agognati 80 minuti). Da domani inizierà la cura da cavallo dell’uomo di Limerick.
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